[Il 24 aprile 1947 l'Assemblea Costituente prosegue l'esame degli emendamenti agli articoli del Titolo secondo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti etico-sociali».]

Presidente Terracini. [...] È stata presentata la seguente proposta di un articolo 26-bis a firma degli onorevoli Franceschini, Bianchini Laura, Lazzati, Cremaschi Carlo, Gortani:

«Ogni cittadino ha diritto a ricevere istruzione ed educazione adeguate allo sviluppo integrale della propria personalità e all'adempimento dei propri compiti sociali».

Onorevole Franceschini, le faccio osservare che l'articolo da lei proposto tratta problemi attinenti all'educazione e non problemi attinenti alla sanità e alla salute pubblica.

Franceschini. Tale articolo dovrebbe precedere immediatamente sia la trattazione dell'argomento scolastico.

Presidente Terracini. Sta bene. Invito la Commissione ad esprimere il suo parere.

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione. Domando all'onorevole Franceschini se non ritenga più opportuno — perché anche a me ha fatto la stessa impressione che ha fatto all'onorevole Presidente — che la sede del suo emendamento sia dopo l'articolo 28. Si potrebbe, cioè, fare di questo articolo l'articolo 28-bis, senza pregiudicarne il merito in questo momento. Io pregherei pertanto l'onorevole Franceschini di voler rimandare la trattazione di questo problema a dopo che sarà esaminato l'articolo 28.

Franceschini. Il collocamento definitivo dell'articolo si potrà se mai vedere nel prosieguo della discussione.

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione. Siccome a noi sembra che il collocamento più adatto sia quello, tanto vale, senza pregiudicarne il merito, rimandare, fin da questo momento, la discussione dell'emendamento a quella sede. Questo è il nostro pensiero.

Franceschini. Veda, onorevole Tupini, il contenuto dell'articolo che si propone come aggiuntivo, è di precedenza rispetto agli altri, perché a carattere giuridico, pedagogico, introduttivo; e quindi, per forza deve essere posto prima degli altri articoli.

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione. Va bene, non abbiamo difficoltà.

Presidente Terracini. Così chiarita la questione, l'onorevole Franceschini ha facoltà di svolgere l'articolo.

Franceschini. Onorevoli colleghi, l'articolo 28 proclama solennemente che «la scuola è aperta al popolo». Questa dichiarazione lapidaria ha un valore prevalentemente sociale e politico e comunque relativo ai successivi commi presentati; ma non offre, secondo noi, nella sua genericità e vaghezza, bastevole precisione né giuridica, né pedagogica. Una vera e propria dichiarazione di diritto è invece quella che fu già approvata in sede di prima Sottocommissione e che io oggi ripropongo sostanzialmente all'Assemblea, anche a nome dei colleghi Bianchini Laura, Lazzati, Cremaschi Carlo e Gortani.

In verità non si potrebbe capire il motivo per cui essa sia caduta al vaglio della Commissione di coordinamento. Infatti il dire: «Ogni cittadino ha diritto a ricevere istruzione ed educazione adeguate allo sviluppo integrale della propria personalità e all'adempimento dei propri compiti sociali» ci pare formula di tale valore e di tale portata, da dover costituire senz'altro l'introduzione migliore a tutti i commi relativi all'insegnamento.

Non si dica, onorevoli colleghi, che parlare di propria personalità e di propri fini sociali, generi equivoco: l'equivoco, cioè, che la determinazione di ciò che è proprio a ciascun uomo debba o possa venire affidata all'arbitrio dello Stato, o di singole correnti ideologiche, o di singoli educatori, quasi a ripresentare il pericolo della formazione di caste chiuse o di categorie chiuse, come nella Repubblica di Platone. A me pare chiaro, al contrario, nella dizione stessa dell'articolo che pone come soggetto il soggetto stesso dell'insegnamento, che è l'individuo ad offrire, secondo le attitudini e le capacità che gli sono naturali, il criterio dell'orientamento dell'insegnamento e i limiti della sua educabilità.

Ora, l'articolo, nei termini che ho già letto, stabilisce in primo luogo, e scandisce, il riconoscimento di un diritto assolutamente fondamentale ed originario; in secondo luogo, lo estende a tutti indistintamente, di là da ogni preoccupazione di ingiustificati quanto ingiustificabili privilegi. Ma sopra tutto — e qui permettete che parli un uomo della scuola — soprattutto esso determina chiaramente la duplice inseparabile finalità della scuola: che è la libertà individuale e la solidarietà sociale.

Quest'ultimo motivo sembra così importante da doversi dire essenziale; perché, se è vero che ogni Costituzione democratica ha per suprema esigenza quella di raggiungere e di mantenere l'armonia del rapporto tra singolo e collettività, di assicurare l'accordo fra i diritti della persona libera e i diritti dello Stato sovrano, consegue di necessità che la scuola italiana, destinata appunto a creare questa coscienza democratica nelle giovani generazioni, deve essere essa stessa impostata su tale concezione, in via assolutamente pregiudiziale; e ne consegue la necessità di una garanzia, che lo Stato deve pretendere mentre riconosce i diritti dell'individuo all'istruzione.

Fine ultimo di ogni opera d'istruzione e di educazione non è già, infatti, quello di mortificare i liberi aneliti della persona singola per omogeneizzarli e confonderli nel vasto anonimo d'una brulicante vita statale né quello di giungere al greco modello di un'aretè gelosamente individualistica, la quale, per elevata e compiuta che fosse, finirebbe pur sempre con il rinchiudere il soggetto singolo in un'egoistica ed ermetica quanto esclusivistica soddisfazione di sé.

No, onorevoli colleghi: la scuola deve tendere congiuntamente a fare e l'uomo e il cittadino: ciò che implica, secondo noi, l'esigenza di porre ben chiaro, fin dall'inizio, queste supreme direttive, cui deve ispirarsi ogni sano criterio pedagogico. La scuola deve essere lasciata perfettamente libera nella scelta dei suoi mezzi; ma essa è tenuta a rispettare la cosciente norma di un progresso che noi possiamo ben dire la conquista più significativa della nostra ammirevole tradizione. (Applausi al centro).

Presidente Terracini. Invito la Commissione ad esprimere il suo parere.

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione. Per le ragioni che ho esposte in precedenza, dato che l'onorevole Franceschini ha insistito nell'illustrare il suo emendamento, dichiaro che gli risponderò alla fine, quando gli altri presentatori avranno illustrato i loro emendamenti relativi alla scuola, perché questo emendamento dell'onorevole Franceschini non ha nessun riferimento con la materia precedentemente votata, ma invece fa parte contestuale degli articoli che riguardano l'istruzione, l'educazione e la scuola.

Presidente Terracini. Onorevole Franceschini, lei mantiene il suo emendamento?

Franceschini. Lo mantengo.

Tupini, Presidente della prima Sottocommissione. Preciso che non ho invitato l'onorevole Franceschini a ritirare il suo emendamento. Ho detto che mi riservo di rispondere quando risponderò a tutti gli onorevoli colleghi che hanno trattato il problema della scuola.

Presidente Terracini. Resta allora inteso che l'emendamento Franceschini sarà preso in considerazione in sede di esame dell'articolo 27, di cui do lettura:

«L'arte e la scienza sono libere; e libero è il loro insegnamento.

«La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione; organizza la scuola in tutti i suoi gradi mediante istituti statali; riconosce ad enti ed a privati la facoltà di formare scuole ed istituti d'educazione.

«Le scuole che non chiedono la parificazione sono soggette soltanto alle norme per la tutela del diritto comune e della morale pubblica.

«La legge determina i diritti e gli obblighi delle scuole che chiedono la parificazione e prescrive le norme per la loro vigilanza, in modo che sia rispettata la libertà ed assicurata, a parità di condizioni didattiche, parità di trattamento agli alunni.

«Per un imparziale controllo ed a garanzia della collettività è prescritto l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale e per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole indicati dalla legge».

Su questo articolo ha presentato il seguente emendamento, già svolto, l'onorevole Tumminelli:

«Sostituirlo col seguente:

«Le manifestazioni e le creazioni dell'arte, della scienza, del pensiero sono libere: e libero è il loro insegnamento.

«La scuola è libera nel metodo e nell'interiore respiro, entro i lineamenti generali sull'istruzione dettati dalle leggi.

«L'educazione fisica è organizzata e impartita in armonia e in correlazione a principî auxologici, con finalità esclusive di sanità, igiene e attività ginnico-sportiva.

«Lo Stato favorisce e istituisce gli organi idonei a tale scopo.

«Lo Stato detta i lineamenti generali sull'istruzione e organizza la scuola, in tutti i suoi gradi, mediante istituti statali.

«La scuola di Stato, presidio della cultura e della continuità della tradizione spirituale del popolo italiano, favorisce e appaga tutte le esigenze tecniche, professionali e scientifiche per la specializzazione dei lavoratori e il conseguente incremento della produzione industriale e agricola del Paese».

Allo stesso articolo gli onorevoli Rossi Paolo, Binni, Preti, Mazzei hanno presentato il seguente emendamento:

«Sostituirlo col seguente:

«L'arte e la scienza sono libere in ogni loro manifestazione, e libero è il loro insegnamento.

«L'istruzione, di qualunque grado, è tra le precipue funzioni dello Stato, che detta le norme generali, organizza la scuola statale in tutti i suoi gradi e tipi e riconosce ad enti ed a privati la facoltà di istituire scuole e istituti d'educazione. La legge ne determina i diritti e gli obblighi.

«Spetta allo Stato il conferimento dei titoli legali di studio nei vari ordini e gradi di scuole e dei diplomi di abilitazione all'esercizio professionale».

L'onorevole Rossi Paolo ha facoltà di svolgerlo.

Rossi Paolo. Il testo dell'articolo 27, quale ci viene sottoposto dagli onorevoli Commissari, si apre con l'affermazione, dovuta, credo, all'onorevole Marchesi, che «l'arte e la scienza sono libere». Immagini l'onorevole Marchesi se non siamo d'accordo! Ma si tratta di una mera affermazione: infatti o l'arte e la scienza sono libere, o non sono né arte né scienza; l'arte di Stato, contenuta e costretta nello stivaletto malese di una qualsiasi dottrina maggioritaria, è tutto fuori che arte; la scienza piegata alle tesi prestabilite di una qualsiasi politica viene a negare se stessa, a contraddire al proprio fine a alla propria essenza, determinando la più stridente delle antinomie.

L'arte e la scienza sono la libertà stessa nella sua forma più alta: dire che arte e scienza sono libere è come dire che la libertà è libera!

Ci è sembrato più esatto affermare, come è scritto nel nostro emendamento, che sono libere le manifestazioni della scienza e dell'arte, come è libero il loro insegnamento.

Più preciso e puntuale del nostro, su questo primo comma, l'emendamento che sarà svolto dall'onorevole Treves e al quale dichiariamo a priori d'associarci, se egli, come speriamo, lo manterrà.

Quanto all'istruzione, il nostro emendamento, a differenza del testo, vuole affermare in modo categorico il principio che l'istruzione, di qualunque grado, è precipua funzione dello Stato.

A nostro avviso lo Stato non può fermarsi, come si legge nel testo della Commissione, a riconoscere la facoltà nei privati di aprire scuole e istituti d'educazione, ma deve dettare le norme generali anche per le scuole private, determinandone con legge gli obblighi e le sostanziali garanzie e ciò anche nel caso che non sia chiesta la parificazione. Lo Stato mancherebbe al proprio compito se restringesse la sua attività ad una pura tutela di polizia e cioè a sorvegliare che le scuole private non si pongano in conflitto con la morale pubblica e il diritto comune: posizione agnostica e puramente negativa quella che risulta dal testo della Commissione; affermazione di un diritto-dovere eminente dello Stato, quella che emerge dal nostro emendamento sostitutivo.

E ciò senza che il principio fondamentale della libertà in ogni manifestazione dell'arte e della scienza, che informa tutto l'articolo, sia minimamente scalfito. Dichiariamo, infatti, di accettare l'emendamento Marchesi laddove suona: «La scuola privata ha pieno diritto alla libertà d'insegnamento».

Una cosa sono la libertà della scienza e la libertà dell'arte e del loro insegnamento, che vogliamo ampiamente, sinceramente, profondamente, non meno, certo, di qualsiasi altro gruppo politico qui dentro; altra cosa sono l'ordinamento generale dell'istruzione elementare, media, tecnica, universitaria: regolamentazione e ordinamento a cui lo Stato non potrebbe rimanere estraneo senza abdicare alla più gelosa e doverosa delle sue prerogative.

Infine l'ultimo capoverso dell'articolo da noi proposto ci sembra avere, rispetto al testo ufficioso, il pregio di una maggiore e più stringente concretezza. Nelle parole: «Per un imparziale controllo ed a garanzia della collettività è prescritto l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale e per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole indicati dalla legge» è diluito un concetto e viene espressa piuttosto una finalità che non formulata una disposizione. Il nostro emendamento: «Spetta allo Stato il conferimento dei titoli legali di studio nei vari ordini e gradi di scuole e dei diplomi di abilitazione all'esercizio professionale», non si presta a discussioni e contiene un nitido precetto.

Tra lo Stato spettatore, in tema d'istruzione, e lo Stato negatore delle libertà d'insegnamento di cultura, o tendenzioso, c'è posto per uno Stato che eserciti imparzialmente e onestamente il suo altissimo ufficio, rendendosi esso stesso garante dell'intrinseca libertà — che vuol dire anche serietà ed efficienza — dell'insegnamento. (Applausi).

Presidente Terracini. L'onorevole Treves ha presentato il seguente emendamento:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«Libero è l'insegnamento dell'arte e della scienza».

Ha facoltà di svolgerlo.

Treves. Veramente, dopo quanto ha detto il mio amico onorevole Paolo Rossi, ho rimorso di intrattenere per qualche minuto questa stanca ed affamata Assemblea (Commenti); ma poiché il mio emendamento può sembrare restrittivo riguardo al testo proposto dalla Commissione, reputo che sia mio dovere di dire molto brevemente le ragioni di esso.

Io credo di aver compreso lo spirito che ha animato la Commissione nel redigere il primo comma di questo articolo, spirito di reazione alla situazione in cui si sono trovate l'arte e la scienza in un passato recente, quando in realtà poco restava di arte e di scienza, e queste eccelse attività dello spirito erano degradate ad una inferiore forma di propaganda. Ho anche sentito dal mio dotto amico onorevole Marchesi parlare di «enfasi» dicendo che alle volte vi è un'enfasi non cattiva, e che egli giudica enfasi non cattiva quella che si nota nelle prime parole di questo articolo, parole che io modestamente propongo di sopprimere. Non certo perché abbia la minima obiezione di principio al concetto che l'arte e la scienza debbono essere libere, ma perché mi sembra proprio di recare offesa alla dignità dell'arte e della scienza dicendo una cosa simile nella nostra Costituzione. Ma l'arte e la scienza sono la libertà medesima, sono libere per definizione. Non può esservi scienza, se la scienza non è libera in tutte le sue forme ed esplicazioni; ugualmente si dica dell'arte; e mi sembra, signori, che l'arte e la scienza si deprimano e si umilino garantendo in qualche forma sulla carta la loro libertà, quando la liberta dell'arte e della scienza sono insite e connaturate alla loro stessa esistenza, poiché altrimenti non esistono né arte né scienza degne di tal nome.

Questo è stato soprattutto lo spirito con cui ho presentato il mio emendamento.

A me pare che siamo in presenza di uno dei tipici casi, di cui purtroppo abbonda questo progetto di Costituzione, nei quali la parola libertà è generosamente usata, ma sempre in un contesto che non supera l'ambito delle pure affermazioni astratte; a scapito di troppo scarse immissioni di libertà effettiva, quando veramente libertà significa qualche cosa nella legislazione costituzionale italiana.

In questo caso, credo che questa smania di adoperare la parola libertà non aggiunga niente, ma se mai diminuisca quella che è la vera, grande dignità dell'arte e della scienza.

Al contrario, ha senso parlare di libertà d'insegnamento dell'arte e della scienza, in tutte le forme e con tutti i mezzi, l'insegnamento di tutti i veri in cui esiste inevitabilmente dell'errore, e di tutti gli errori in cui esiste una parte di vero.

Questo è dunque l'emendamento che io raccomando all'attenzione e alla benevolenza dell'Assemblea, proprio per riaffermare la dignità dell'arte e della scienza, che per essere libere non hanno bisogno di una dichiarazione di libertà nella Carta costituzionale. (Applausi).

Presidente Terracini. Segue l'emendamento, già svolto, dell'onorevole Rodi:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«La Repubblica assicura e garentisce il libero esercizio e il libero insegnamento dell'arte e della scienza».

Segue l'emendamento degli onorevoli Di Gloria, Malagugini, Codignola:

«Sostituire il primo comma col seguente:

«L'arte e la scienza sono libere in ogni loro manifestazione: e libero è il loro insegnamento».

Poiché nessuno dei proponenti è presente, l'emendamento s'intende decaduto.

Il seguente emendamento è già stato svolto:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«Le istituzioni di alta cultura, Accademie ed Università, sono politicamente indipendenti e funzionalmente autonome.

«Rivera, Montemartini, Gortani, Ermini, Firrao, Caso».

Segue l'emendamento degli onorevoli Leone Giovanni, Bettiol e Medi:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«Per assicurare la libertà dell'insegnamento universitario i professori di ruolo delle Università statali sono inamovibili dalle funzioni e dalla sede».

L'onorevole Bettiol ha facoltà di svolgerlo.

Bettiol. Noi proponiamo questo emendamento come riconoscimento della importanza della funzione che la categoria dei professori universitari assolve.

Noi chiediamo che, in un clima di libertà, proprio per assicurare piena libertà di insegnamento, sia sancito nella Carta costituzionale che i professori di ruolo, ordinari e straordinari, siano dichiarati inamovibili dalle funzioni e dalla sede.

Ritengo che, nel nuovo clima politico italiano, questo emendamento non abbia bisogno di ulteriori chiarimenti.

Si tratta di un'opera di giustizia distributiva.

La categoria dei professori universitari chiede trattamento analogo a quello dei magistrati, ai quali la Carta costituzionale riconosce l'indipendenza e la inamovibilità.

Presidente Terracini. L'onorevole Pignedoli ha già svolto il suo emendamento:

«Dopo il primo comma aggiungere il seguente:

«La Repubblica protegge e promuove, con ogni possibile aiuto, la creazione artistica e la ricerca scientifica».

Anche l'onorevole Colonnetti ha svolto il suo emendamento:

«Dopo il primo comma, aggiungere il seguente:

«Le istituzioni di alta cultura, Università ed Accademie, sono autonome».

Gli onorevoli Martino Gaetano, Labriola, Della Seta, Caronia, Lucifero, Corbino hanno presentato il seguente emendamento:

«Aggiungere dopo il primo comma:

«La legge garantisce l'autonomia funzionale delle Università dello Stato e l'inamovibilità dei professori universitari di ruolo».

L'onorevole Martino Gaetano ha facoltà di svolgerlo.

Martino Gaetano. Ritengo non sia necessario svolgere questo emendamento, perché, per quanto riguarda la necessità dell'autonomia funzionale delle Università, basta riferirsi a quanto è stato detto dall'onorevole Colonnetti; per quel che riguarda l'inamovibilità dei professori universitari di ruolo, ha testé parlato l'onorevole Bettiol.

Io quindi mi associo, per la prima parte, a quanto ha detto l'onorevole Colonnetti, e per la seconda, a quello che ha detto l'onorevole Bettiol.

Presidente Terracini. È stato già svolto l'emendamento presentato dagli onorevoli Bernini, Basso, Cevolotto, Calamandrei:

«Sostituire il secondo e il quarto comma col seguente:

«L'istruzione, di qualunque grado, è tra le precipue funzioni dello Stato, che detta le norme generali, organizza la scuola statale in tutti i suoi gradi e tipi e riconosce ad enti e a privati la facoltà di istituire scuole e istituti d'educazione. La legge ne determina i diritti e gli obblighi, graduandoli eventualmente secondo diverse possibili forme di autorizzazione».

Gli onorevoli Camposarcuno, Delli Castelli Filomena, Colombo Emilio, Lazzati hanno presentato il seguente emendamento:

«Sopprimere, al secondo comma, le parole: riconosce ad enti ed a privati la facoltà di formare scuole ed istituti d'educazione; e sostituire il terzo e quarto comma coi seguenti:

«Enti e privati hanno diritto di aprire scuole ed istituti d'educazione soggetti soltanto alle norme per la tutela del diritto comune e della morale pubblica.

«La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parificazione, deve assicurare ad esse una libertà effettiva e garantire ai loro alunni parità di trattamento con gli alunni degli istituti statali».

L'onorevole Camposarcuno ha facoltà di svolgerlo.

Camposarcuno. Avrò cura di non ripetere quanto è stato detto da altri onorevoli colleghi sull'importante e vitale problema che si agita, con tanta passione, in questa Assemblea, in merito alla libertà della scuola ed ai rapporti fra scuola pubblica e scuola privata e scuola statale e scuola parificata.

Noi democristiani siamo, per tradizione e per convinzione, per la libertà della scuola e nella scuola.

E poiché nell'articolo in discussione tale principio è affermato, espongo ora le ragioni del mio emendamento.

Si propone la soppressione del secondo comma solo per disciplinare in modo migliore e più razionale le varie disposizioni in esso contenute.

Per quanto riguarda la sostanza delle disposizioni del primo e secondo comma non ho dissenso alcuno con la Commissione per la Costituzione, ma chiedo che siano soppresse, in questo ultimo comma, le parole: «riconosce ad Enti ed a privati la facoltà di formare scuole ed istituti di educazione». Chiedo altresì che siano sostituiti il terzo e quarto comma coi seguenti:

«Enti e privati hanno diritto di aprire scuole ed istituti di educazione, soggetti soltanto alle norme per la tutela del diritto comune e della morale pubblica.

La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parificazione, deve assicurare ad esse una libertà effettiva e garentire ai loro alunni parità di trattamento con gli alunni degli istituti statali».

È evidente che io sono perfettamente di accordo con coloro i quali sostengono che debba essere lo Stato a dettare le norme generali sulla istruzione, ad organizzare le scuole in tutti i suoi ordini e gradi ed a vigilare le scuole non statali.

Ma, in omaggio al principio della libertà della scuola — così solennemente affermato in questo articolo, proclamato dagli esponenti di tutte le tendenze politiche dell'Assemblea Costituente in seno alla Commissione dei settantacinque, ed infine esaltato da tutti gli oratori di ogni fede politica in quest'aula — è incontrovertibile che lo Stato non può negare ad Enti e privati il diritto di aprire scuole ed istituti di educazione.

È superfluo rilevare che detti istituti e scuole devono essere soggetti alle norme per la tutela del diritto comune e della morale pubblica. Si rispetta, in tal modo, il principio dei diritti primordiali e delle libertà essenziali dell'uomo e del cittadino, si evitano le forme di monopolio, si eliminano tutti gli esclusivismi, tutti i sistemi di privilegio, e si conferisce agli studi quella dignità che è un bisogno assai vivo e sentito dei nuovi tempi.

Per quanto riguarda le scuole private che chiedono la parificazione, va osservato che è sempre lo Stato che fissa i diritti e gli obblighi delle scuole private che detta parificazione chiedono, ed è sempre lo Stato che deve esercitare il controllo sullo svolgimento degli studi nelle scuole parificate.

Detto controllo è da stabilirsi principalmente con l'esame di Stato, a condizioni di assoluta e reale parità per tutti gli alunni, quelli delle scuole pubbliche e quelli delle scuole private, e con esaminatori di indiscusso valore e di assoluta probità, tratti dalle scuole statali e dalle scuole private.

Per quanto riguarda gli alunni delle scuole parificate, è fuor di dubbio che ad essi — poiché le scuole che li ospitano sono soggette a controllo statale — deve essere assicurata una libertà effettiva e garentita una parità assoluta di condizioni didattiche e di trattamento con gli alunni delle scuole statali.

È solo alla luce di tale libertà che si formano i caratteri, al di fuori e al di sopra di ogni pregiudizio di partiti, di caste e di sette.

Solo nella libertà della scuola è possibile ritrovare gli elementi necessari per la ricostruzione spirituale e morale del popolo italiano ed i segni certi del suo immancabile avvenire.

Non saranno, adunque, mai abbastanza invocate e difese la effettiva indipendenza, la libertà e la conseguente dignità della scuola.

La parificazione, è evidente, non deve significare che possono sorgere scuole private a carattere di mera speculazione commerciale, con conseguente abbassamento del livello degli studi.

Essa dev'essere invece il mezzo per una gara feconda di elevazione della scuola, in un concorde fervore di attività da parte di discepoli e di docenti.

Sono d'accordo con l'onorevole Marchesi che «alla scuola deve essere ammesso qualunque principio, qualunque metodo di insegnamento, purché non contravvenga ai principî elementari e fondamentali dell'educazione».

Ma sono con lui ancora più di accordo quando osserva che «la scuola pubblica non esclude affatto il sorgere e il prosperare di istituti privati; che in tempi di florida civiltà, come in Grecia e in Roma, non esisteva una scuola di Stato e che lo Stato può essere il più prepotente violatore delle coscienze».

Io ho letto con vero piacere quanto è stato detto, con vivo senso di responsabilità, dai componenti della Commissione per la Costituzione in merito all'importante e decisivo problema della scuola; ho notato con soddisfazione gli sforzi da essi compiuti per giungere ad eliminare ogni sospetto fra scuola di Stato e scuola privata.

Io ed i miei amici riaffermiamo sempre più decisamente quanto è stato detto autorevolmente dall'amico onorevole Moro e cioè che le iniziative dell'istruzione e dell'educazione privata confluiscono con quelle che fanno capo allo Stato e che lo Stato controlla, vigila e garentisce.

Con le modificazioni proposte all'articolo 27, contenute nell'emendamento che sto svolgendo, si intende riaffermare questo sano principio di libertà della scuola e nella scuola, principio di libertà che solo può essere il sicuro presidio del rinnovamento culturale e spirituale del nostro Paese. (Applausi al centro).

Presidente Terracini. Segue l'emendamento proposto dagli onorevoli Fabriani e Federici Maria.

«Alla fine del secondo comma, dopo la parola: educazione, aggiungere: favorendone il funzionamento».

L'onorevole Fabriani ha facoltà di svolgerlo.

Fabriani. A questo emendamento proponiamo di aggiungere dopo le parole: «favorendone il funzionamento» anche le altre «e lo sviluppo».

Nell'illustrare l'emendamento so di urtare la suscettibilità di alcuni colleghi, taluni dei quali si sono scatenati con veemenza eccezionale verso la scuola privata, considerata come l'antagonista della scuola di Stato, come qualcosa che debba uccidere addirittura la scuola di Stato. E in questo si sono distinti particolarmente gli onorevoli Binni, Bernini e Codignola. I loro timori consistono in questo: la scuola privata ucciderà la scuola di Stato; occorre che lo Stato non sovvenzioni le scuole private. L'onorevole Bernini diceva che «si conferiscono alle scuole private diritti che non si potevano maggiori». Interpretava il comma 4° dell'articolo 27, dove si parla di parità di trattamento, come una richiesta formale di una sovvenzione dello Stato, «in proporzione delle spese sostenute dallo Stato per ogni alunno che frequenta la scuola statale». E l'onorevole Bernini aggiungeva che la frase: «libertà della scuola» si dovrebbe trasformare in «libertà nella scuola». L'onorevole Codignola diceva che sovvenzionando la scuola privata «si conferirebbe ad essa un privilegio, in quanto nessuna scuola pubblica potrebbe reggere alla concorrenza».

Ma, è strano — e l'ha notato anche la collega Bianchini — che tutte le volte che si parla di libertà, quando si è davanti ad un problema concreto si recalcitra come davanti a qualcosa di spaventoso. E così, qui, in tema di libertà della scuola, rileviamo un timor panico che incombe su questa Assemblea. La scuola privata non è l'antagonista, come sottolineava con l'elevatezza della sua parola l'onorevole Moro, della scuola pubblica. Noi dobbiamo partire dal concetto che lo Stato non può assolutamente provvedere, per conto suo, (Interruzione dell'onorevole Tonello) all'esigenza dell'educazione nazionale. Sarebbe come se si volesse risolvere il problema della disoccupazione con la politica esclusiva del Ministero dei lavori pubblici e non suscitando l'iniziativa privata. Ne abbiamo visto qualcosa nei lavori a regia nei dintorni di Roma, dove si è speso, per lavori improduttivi e diseducativi, la bellezza di 17 miliardi. Così è anche per la scuola. Dobbiamo metterci su un piano realistico. Possiamo pensare che lo Stato possa provvedere all'educazione di tutti i cittadini? Certamente no; quindi è necessario appellarsi all'iniziativa privata non solo per un concetto di opportunità ma anche per un concetto di realtà.

Ora, quando si parla di istruzione e di istituti privati e della libertà che si dà di poter aprire e formare istituti di educazione, noi partiamo dal concetto non solo dell'impossibilità dello Stato di esaurire da solo il problema, ma partiamo anche dal concetto che queste scuole ubbidiscono a preoccupazioni di delicata utilità sociale. Ed allora, se assolvono questa funzione, bisogna che lo Stato intervenga, non solo come diceva il collega Calosso con ispezioni che si risolvono molte volte in sole ispezioni di registri o di programmi svolti.

Ma bisogna che ci sia qualche cosa di più adeguato alla scuola e all'insegnamento, qualche cosa che rappresenti un aiuto non solo morale ma anche materiale perché queste scuole possano adempiere alle loro funzioni. Occorre cioè che esse siano attrezzate in modo che possano funzionare nell'interesse dei figli del popolo, perché escano da esse dei cittadini formati.

In passato si era modificato il titolo del Ministero dell'istruzione chiamandolo Ministero dell'educazione nazionale, titolo che non era poi neanche molto originale in quanto era copiato dalla denominazione che detto Ministero ha in Inghilterra. È stata poi ripristinata la vecchia denominazione di Ministero della pubblica istruzione. Si è voluto, cioè, accentuare la parola «istruzione», cosa che è puramente esteriore e non include il concetto formativo di cui abbiamo bisogno specialmente nel momento che attraversiamo. Abbiamo bisogno di formare cittadini che si avvezzino alla abnegazione e al sacrificio per superare la crisi attuale; abbiamo bisogno di formare il carattere dei giovani, soprattutto dopo un regime di servilismo e di schiavitù.

Questi istituti privati di educazione che, in tutti i Paesi sono derivati da un senso vivo di apostolato, non si possono creare che quando una verità ha bisogno di manifestarsi. Lo Stato non può assolvere da solo questo compito particolare che è nell'interesse di tutti i figli del popolo.

Sarà bandito in questi giorni un concorso che sembra un concorso monstre per le scuole medie, un concorso straordinario perché si tratta di ben quattromila posti; ma noi sappiamo che ci sono attualmente non meno di otto o novemila posti vacanti. Si mettono a concorso 20.000 posti per la scuola elementare, ma sappiamo che ne occorrerebbe un numero infinitamente maggiore. Oltre a questa necessità di personale dobbiamo tener conto dell'edilizia scolastica che è stata molto trascurata.

La collega onorevole Federici parlerà degli asili infantili. Oggi, per le contingenze belliche e post-belliche, l'asilo infantile è stato considerato come un luogo puramente assistenziale e si è perduto di vista quel concetto a cui noi avevamo accennato specialmente riferendoci all'apostolato delle sorelle Agazzi. Il concetto moderno di formazione e di preparazione proprie dell'asilo infantile non è dovunque seguito e gli asili in genere sono rimasti ancora delle sale di custodia. In questo periodo sono sorti, specialmente in Alta Italia, un'infinità di questi asili infantili, talvolta anche per interesse di partito, ma essi rivestono tutti quel carattere che ho detto di sale di custodia con compiti assistenziali quando invece essi dovrebbero anche rivolgersi all'educazione dell'anima e alla formazione del carattere. Queste scuole, questi asili infantili voi sapete come vivono; sono basati principalmente sulla carità veramente generosa di persone particolarmente votate alla missione educativa. La massima parte degli asili infantili vivono oggi con 300, 500 lire al mese di sussidio. I Provveditorati agli studi generalmente li ignorano. Abbiamo perfino dei casi, specialmente nella provincia, in cui i Provveditorati rifiutano perfino ospitalità nelle scuole pubbliche a questi asili pur essendoci disponibilità di locali. E quando i Provveditorati danno degli aiuti, questi oggi si aggirano sulle 1500, 2000 o 3000 lire all'anno. E sembrano una straordinaria generosità da parte del Governo! Pensate: 3.000 lire all'anno per tenere una scuola!

E non parliamo del numero dei ragazzi. Perché una scuola assolva il suo compito non dovrebbe aumentare il numero degli alunni a più di 25-30 per classe. L'onorevole Bernini ha reso un omaggio caloroso alla legge Casati, in cui è contemplata la scuola che arriva ai sessanta alunni. E non si è potuto districare da questa limitazione neanche l'onorevole Ministro Gonella, quando ha dato il via alla divisione delle scuole elementari in sezioni. Un insegnante non può compiere un lavoro veramente formativo con una scolaresca che vada al di là dei venticinque-trenta alunni. Oggi gli unici asili statali sono quegli annessi agli Istituti magistrali governativi mentre non c'è abitato che non abbia bisogno di raccogliere e di educare tanti bambini del popolo.

E non si pensa affatto all'attrezzamento! Chi conosce che cosa deve essere una scuola materna sa che, se si riduce soltanto alle quattro pareti e al sacrificio dei polmoni dell'insegnante essa non può veramente formare dei fanciulli, formare dei cittadini come li vorremmo noi. Ed il nostro paese ha specialmente bisogno di cittadini di carattere.

Presidente Terracini. Onorevole Fabriani, lei ha superato il tempo, ed è ancora assai lontano dal tema del suo emendamento.

Fabriani. Parlavo appunto dell'obbligo da parte dello Stato di favorire l'esistenza di questi istituti privati. Noi riconosciamo l'utilità di questi istituti privati, che devono in definitiva assolvere un compito di utilità pubblica. Occorre quindi che lo Stato si preoccupi anche del funzionamento e dello sviluppo di questa Scuola privata. Dalla scuola privata, noi lo sappiamo, sono usciti addirittura dei geni, da Dante a Pascoli. Da una scuola di Stato come la concepisce l'onorevole Bernini, alla Gentile, in cui ci sia una serie fredda, numerica, di nozioni, senza una convinzione, poco possiamo aspettarci.

Appunto per queste ragioni io chiedo che venga approvato questo emendamento, perché siamo, credo, tutti compresi della necessità che le scuole funzionino non solo, ma funzionino bene e si incrementino, in modo da assolvere questo grande compito di creare dei cittadini, di formare delle coscienze veramente illuminate, che siano utili a sé e al proprio Paese. (Applausi al centro).

Presidente Terracini. Gli onorevoli Codignola e Foa hanno proposto di sopprimere il terzo comma.

L'onorevole Codignola ha facoltà di svolgere l'emendamento.

Codignola. Mi limiterò a brevissime considerazioni.

Il terzo comma dell'articolo 27 dichiara: «Le scuole che non chiedono la parificazione sono soggette soltanto alle norme per la tutela del diritto comune e della morale pubblica».

Questo comma, a nostro giudizio, o è pleonastico, o vuol dir troppo. Se vuole indicare infatti che deve essere assicurata la libertà dell'insegnamento anche nella scuola privata, questa dichiarazione è già compresa nel primo comma dell'articolo 27, il quale stabilisce esplicitamente la libertà dell'insegnamento.

Ma noi pensiamo che, nella sua attuale formulazione, questo comma voglia invece stabilire dei limiti che possono diventare arbitrari a codesta stessa libertà, quando esso sancisce che queste scuole sono soggette alle norme del diritto comune e della morale pubblica. È evidente infatti che questa dichiarazione può essere interpretata in modo tale da impedire una effettiva libertà di insegnamento, quale noi chiediamo anche per le scuole private.

È per questa ragione che noi avevamo proposto la soppressione pura e semplice del comma. Successivamente però è stato presentato dall'onorevole Marchesi un emendamento inteso ad aggiungere il seguente comma: «La scuola privata ha pieno diritto alla libertà d'insegnamento».

Poiché questa nuova formulazione non è soggetta alle interpretazioni arbitrarie cui va invece soggetta, come ho detto ora, quella proposta dalla Commissione, noi dichiariamo di ritirare il nostro emendamento e di aderire a quello presentato dall'onorevole Marchesi.

Presidente Terracini. Segue un emendamento, già svolto, dell'onorevole Bruni:

«Sostituire il quarto comma col seguente:

«Le scuole, che ottengono il riconoscimento giuridico dei loro titoli, acquistano nella libertà del loro particolare indirizzo educativo gli stessi diritti e si sottopongono agli stessi obblighi di quelle statali. La legge determina le condizioni di tale riconoscimento».

Segue l'emendamento:

«Al quarto comma, sostituire alle parole: la parificazione, le parole: il pareggiamento.

«Allo stesso comma, alle parole: parità di trattamento, sostituire: parità di trattamento scolastico agli alunni.

«Bianchi Bianca, Tega, Cevolotto, Arata, Pistoia, Momigliano, Giua, Calamandrei, Fornara, Costa, Caldera».

L'onorevole Bianchi Bianca ha facoltà di svolgerlo.

Bianchi Bianca. Onorevoli colleghi, dirò poche cose concrete a sostegno dell'emendamento che abbiamo presentato al quarto comma dell'articolo 27, dove si parla di parificazione e di parità di trattamento fra scuole pubbliche e scuole private.

La parificazione o parifica è uno degli istituti più recenti della nostra legislazione scolastica. Nel 1925, fu contenuta in termini ristretti nell'articolo 51 del Regolamento; nel 1929, fu applicata a beneficio di scuole dipendenti da comuni, o province o associazioni.

Fu abolita l'anno seguente e ripristinata poi nel 1938, con la creazione dell'E.N.I.M.S., l'Ente nazionale per l'insegnamento medio. Agli istituti gestiti dall'E.N.I.M.S. fu accordata la parificazione che comportava il riconoscimento del valore legale degli studi e degli esami alle corrispondenti classi degli istituti governativi e all'esame di maturità e di abilitazione con dispensa dalla presentazione del titolo inferiore.

Dal 1938 fino ad oggi, molte scuole private si sono costituite associandosi all'E.N.I.M.S. per avere la parificazione dalla quale provengono molti benefici.

E la parificazione fu ottenuta con troppa facilità, in seguito ad ispezioni sommarie da parte di persone cui mancava la competenza necessaria nel campo scolastico, o disposte ad usare molta indulgenza per amore di quieto vivere. In molti casi fu data la parificazione, anche quando il Commissario aveva riscontrato l'assoluta inefficienza scolastica ed aveva espresso parere nettamente sfavorevole. Ora la parificazione ha portato sì alla scuola privata il beneficio di una enorme quantità di alunni ma l'ha ridotta ad una gestione mercantile. Perché il gestore, il Preside della scuola, ha tutto l'interesse di mantenere una fitta frequenza dei propri alunni, ai quali si concedono con troppa benevolenza i diplomi e i titoli.

Ora proprio per la serietà della scuola, della libertà nel suo valore concreto, noi stiamo qui a discutere di questo problema educativo e diciamo: la Carta costituzionale deve essere intesa non soltanto quale specchio delle condizioni dell'attuale momento, ma porta aperta ad eventuali progressi, ad eventuali realizzazioni di esigenze spirituali vive nella nostra coscienza contemporanea. Proprio per questo amore di libertà siamo contro la parificazione, perché contrari al mercantilismo e alla depravazione della cultura, alla leggerezza, alla faciloneria che sono una degenerazione della libertà. La libertà è serietà di vita e di insegnamento, sincerità di propositi e di azione. In altri termini la libertà è l'affermazione di una personalità, non è la corsa ai diplomi, ai titoli, come è stato fatto dal 1939 ad oggi. Guardate alle statistiche. I dati tratti dall'Istituto centrale di statistica relativi al 1938, indicano che nel 1937-38 la concessione dei diplomi era ancora normale. Per la maturità classica si conferirono 9.526 diplomi, mentre nel 1939-40, per la stessa maturità classica, se ne diedero 21.871.

Andiamo alla abilitazione magistrale. Nel 1937-38 vi furono 14.474 diplomi; nel 1939-40 i diplomi furono 28.855.

Una voce al centro. Ma c'era l'esame di Stato!

Bianchi Bianca. Queste sono cifre che potrete esaminare. Le cifre hanno un particolare valore. Che cos'è questa corsa verso i titoli e verso i diplomi e questo svilimento della cultura, del titolo stesso, questa inefficienza, questa impreparazione?

Non è in discussione il problema politico. Non è in discussione neppure un problema confessionale. È in discussione un problema educativo. Lasciate le questioni di parte: qui abbiamo di fronte la questione della serietà degli studi, della formazione della nostra classe dirigente. Lo sappiamo tutti, in intimo corde, che non siamo preparati, che la nostra classe dirigente non è preparata, che i nostri alunni non sono preparati, che i loro titoli non corrispondono a nessuna maturità spirituale perché la loro personalità non è formata, che non ci sono le premesse per la libertà, per la civiltà, per la democrazia.

Volete continuare nel formulare vaghi concetti di libertà e di democrazia? Continuate pure per la vostra strada. Ma se volete dare un contenuto veramente vitale, un contenuto concreto alle parole di libertà, dovete concludere nel senso di non inserire nella Carta costituzionale non solo una delle più illiberali e più leggiere istituzioni della giurisdizione fascista, ma anche, ai fini pratici, un qualche cosa che ha dato dei risultati spaventosamente negativi nella nostra cultura. Perché non dobbiamo sostituire la parificazione, per esempio, con l'istituzione prefascista che aveva dato buoni risultati, cioè il pareggiamento?

Noi non vogliamo creare disparità tra la scuola pubblica e la scuola privata; non vogliamo mettere gli insegnanti o gli alunni delle scuole private in condizioni di inferiorità o di minorità rispetto a quelli delle scuole pubbliche. Noi diciamo: Va bene, la scuola pubblica fiorisca libera in tutti i paesi d'Italia; ma fiorisca in maniera da dare allo Stato una garanzia di efficienza, di serietà perché lo Stato è sempre l'educatore dei suoi cittadini. Il compito dell'istruzione o, per lo meno, la vigilanza sull'istruzione privata appartiene direttamente allo Stato. È uno dei doveri e dei diritti dello Stato e non se ne può fare a meno.

Adesso, il pareggiamento offre molte garanzie. Vedete, l'istituzione delle scuole parificate è molto aleatoria. Il regolamento, per esempio, non è stabile, è provvisorio. Gli insegnanti sono assunti senza un regolare concorso. Molto spesso gli insegnanti delle scuole parificate sono quei medesimi che non hanno trovato posto nelle graduatorie degli incaricati e dei supplenti delle scuole pubbliche; non hanno abilitazione, hanno una laurea scadente o non hanno neppure la laurea; sono studenti del terzo o del quarto anno dell'Università. Non potrebbero essere assunti nelle scuole parificate ma i Presidi li assumono perché ci fanno un guadagno, una speculazione economica. Adesso questi medesimi insegnanti sono alla mercé dei Presidi, senza nessun ordinamento giuridico che li protegga e possono essere mandati fuori della scuola per un capriccio del gestore della scuola medesima. Anche maestri di ottima preparazione culturale, quando l'insegnamento privato rappresenta l'unico modo di vivere alla giornata, devono sottostare alla direzione dei Presidi per la promozione degli alunni impreparati e incapaci, alla direzione dei Presidi che vogliono quel particolare orientamento didattico, quella particolare scelta dei libri di testo, che influiscono insomma su tutta la condotta dell'insegnamento.

Il pareggiamento ci offre invece garanzie migliori.

Gli insegnanti devono essere assunti mediante concorsi ed hanno un determinato trattamento economico: soltanto lo Stato dà garanzia che gli interessi della cultura vengano rispettati.

Oggi dobbiamo proporci questo unico problema: del come riuscire a dare una migliore preparazione ai nostri giovani, a formare una classe dirigente più idonea di quella attuale. È un problema che non si risolve col prendere posizioni partigiane, col sostenere una tesi piuttosto che un'altra, ma col trovare l'accordo negli intenti comuni.

Un altro punto vorrei trattare...

Presidente Terracini. Onorevole Bianchi, tenga presente che è un quarto d'ora che parla. Prosegua.

Bianchi Bianca. L'altro punto che vorrei trattare è in riferimento al quarto comma, là dove si parla di parità di trattamento tra scuola pubblica e scuola privata. Questa formula che assicura parità di trattamento agli alunni della scuola privata in confronto di quelli della scuola pubblica, venne fuori, dopo lunga discussione ed elaborazione, dalle proposte fatte dall'onorevole Moro.

Egli assicura che né lui né i suoi colleghi democristiani pensano a parità di trattamento economico, e ci possiamo anche credere. Ma ci fanno pensosi certe dichiarazioni sia dell'onorevole Moro, sia dell'onorevole Dossetti, sia dell'onorevole Colonnetti e certe pubblicazioni, come quelle dell'Università Cattolica là dove si dice esplicitamente che lo Stato ha l'obbligo di provvedere con tutti i mezzi anche economici al mantenimento e al funzionamento della scuola privata. E noi diciamo subito che siamo contrari a queste sovvenzioni alla scuola privata. Siamo contrari non solo da un punto di vista astratto, ma anche da un punto di vista concreto perché, onorevoli colleghi, lo Stato può riconoscere l'utilità della scuola privata, ma non ne può riconoscere la necessità. Altrimenti distrugge la propria funzione educativa, l'efficienza della propria missione, di promotore dell'organizzazione della educazione nazionale. Lo Stato non può delegare ad altri questa sua attività preminente, non la può spezzettare suddividendola così fra tutte le scuole private. Che la scuola privata fiorisca, ma che non chieda sussidi ed aiuti allo Stato, perché lo Stato non può accettare questo principio. (Commenti).

C'è un altro concetto che ci spinge a sostenere questa tesi.

Voi, colleghi della democrazia cristiana, siete contrari alla scuola di Stato perché avete paura di totalizzare la scuola. Voi temete che lo Stato faccia un monopolio dell'educazione. Ma non si tratta di fare monopoli, si tratta di educare, si tratta di capire che il monopolio lo farebbe la scuola privata qualora venisse ad avere le sovvenzioni che voi domandate, perché si metterebbe sullo stesso piano della scuola pubblica e la distruggerebbe. La scuola privata è in condizioni molto vantaggiose. E quindi è questione di lucro, di interesse, di mercantilismo.

Del resto, se non avete pensieri riposti negli angoli più o meno oscuri del subcosciente, potete aggiungere una paroletta, a chiarificazione; perché le formule generiche sono sempre equivoche, e si prestano ad interpretazione false e sbagliate.

Proprio per non incorrere in queste interpretazioni, vogliamo precisare il concetto. Se non volete la parità del trattamento economico, non è niente di male accettare di aggiungere a «trattamento» la parola «scolastico».

Così si riesce a chiarire la situazione e si mette in luce quello che si vuole; e si impedisce agli educatori ed ai capi-istituto di fare della scuola un affaruccio, una gestione più o meno privata.

Pensate cosa sarebbe negli anni futuri della Repubblica Italiana, quando ad un Governo succederà altro Governo. Mettendo nella Costituzione questo comma così male espresso («trattamento», senza specificazione), ogni Governo aiuterà la propria scuola di parte e non ci sarà più libertà e serietà nell'educazione.

Si correrà proprio il rischio di avere quel monopolio, contro cui state lottando.

A termine di queste considerazioni, a nome anche del mio gruppo parlamentare, dico a tutti i colleghi: qui non è in giuoco, per noi almeno, né un fine politico, né, tanto meno, un fine confessionale; ma solamente un problema educativo.

Faccio appello agli onorevoli colleghi di tutti i settori di voler togliere dal proprio animo ogni preoccupazione, che non sia di carattere educativo; perché, di fronte a questo compito, che è compito di civiltà e di democrazia, in senso veramente concreto, ogni altra preoccupazione non è una cosa seria. (Vivi applausi a sinistra Congratulazioni).

Presidente Terracini. L'onorevole Rescigno ha presentato il seguente emendamento:

«Al quarto comma, alle parole: parità di trattamento agli alunni, sostituire le altre: parità di trattamento agli insegnanti e agli alunni».

Ha facoltà di svolgerlo.

Rescigno. Il mio emendamento consiste nell'aggiunta d'una sola parola, ma in questa parola è tutto il problema, vorrei dire tutto il dramma della scuola parificata, alla quale ha accennato la onorevole Bianchi.

Alla quale, però, vorrei dire, in ordine al suo rilievo circa il fatto che la nostra scuola non risponde a quelle che dovrebbero essere le sue finalità, cioè di fare l'uomo, innanzi tutto (perché la nostra scuola forma il funzionario, l'impiegato, il magistrato, ma non l'uomo, accompagnando il giovane nel suo passaggio dalla scuola alla vita) che la ragione non è nei regolamenti o nel pareggiamento o nella parificazione: tutto questo è struttura della scuola, ma non l'anima dell'insegnamento e delle scuola. L'anima della scuola e dell'insegnamento sono (consentite che lo dica un uomo che da 30 anni vive nella scuola) sono gli insegnanti, e il difetto della nostra scuola è nel suo carattere esclusivamente quantitativo, esclusivamente ricettizio, che io vedo, dolorosamente, riconsacrato in questi articoli della Costituzione; perché da noi la cultura, l'istruzione valgono ancora come numero di cognizione, noi comunichiamo ai nostri giovani più notizie che idee.

Una voce a destra. Non è vero!

Rescigno. Qui si riconsacra, si riafferma questo carattere, vorrei dire, di monologo, quasi, a cui si riduce l'insegnamento tra un uomo che dà ed una folla di giovani che ricevono, mentre l'insegnamento dovrebbe essere un dialogo vibrante fra il maestro che deve guidare ed i giovani che devono collaborare con lui. Quindi problema, onorevoli colleghi, che concerne soprattutto gli insegnanti, ed io quello che in questo progetto non vedo né accennato né ricordato è appunto un pensiero per loro: gli insegnanti; e il dramma della scuola parificata è appunto il dramma degli insegnanti.

Non parlo delle scuole parificate tenute dai religiosi. Ho avuto già occasione di parlarne in questa aula: le scuole tenute dai religiosi sono al di sopra di ogni dubbio e di ogni sospetto, per il loro disinteresse economico, per la fiamma di ardore che essi pongono nell'insegnamento. (Rumori Interruzioni a sinistra). Parlo appunto delle scuole cui accennava l'onorevole Bianchi, parlando di quelle scuole parificate a scopi di speculazione, dove il lavoro degli insegnanti è considerato come una merce qualsiasi; e questo è doloroso, soprattutto perché si tratta del lavoro intellettuale, il quale viene pagato con stipendi di fame. Questa è la condizione degli insegnanti nelle scuole parificate a carattere di speculazione commerciale.

Ora si spiega perché tutti gli insegnanti, fino a che dura questo stato di cose, non vogliono andare negli istituti parificati e premono, sempre, alle porte dello Stato, perché ritengono che quello sia il minor male.

E se ne volete una prova, vi dirò che appena si è saputo, si è letto nel progetto di Costituzione dagli insegnanti, agli articoli 109 e 110, che l'istruzione artigiana, che l'istruzione tecnico-professionale possono essere o saranno oggetto di legislazione da parte delle regioni, vi è stata una preoccupazione, un fermento tra gli insegnanti stessi, i quali si preoccupano di dover dipendere non più dallo Stato, ma dalla regione.

Questo è lo stato d'animo degli insegnanti privati; perché? Perché gli insegnanti delle scuole parificate non hanno, effettivamente, nessuno stato giuridico ed economico. Ora, è appunto questo che lo Stato deve fare: assicurare anche agli insegnanti delle scuole parificate uno stato giuridico ed economico. E questo io chiedo con l'emendamento da me proposto.

Onorevoli colleghi, la scuola parificata, anzi la scuola privata, prima che ci fosse l'istituto della parificazione, ha avuto il suo periodo aureo, specialmente nel Mezzogiorno nostro. Ora, perché possa questa nuova scuola parificata, questa libera scuola — la cui libertà, consentite che ve lo dica, non consiste tanto nella conquista della libertà di costituzione, quanto nella coscienza della propria responsabilità, mentre qui... più che la libertà vera della scuola e dall'insegnamento si è sancita la libertà di aprire scuole, — possa rifiorire e ritorni il periodo aureo dell'insegnamento parificato, noi dobbiamo riaccostare il popolo alla scuola. Purtroppo la nostra Nazione è una Nazione proletaria. Noi abbiamo sancito nella Costituzione che la scuola è aperta al popolo; ma, confessiamolo, il popolo non ama questa scuola. Facciamogliela amare e soprattutto in quelli che sono l'anima e il fulcro della scuola, cioè gli insegnanti. (Applausi al centro).

Presidente Terracini. I seguenti emendamenti sono stati già svolti:

«Sostituire il quinto comma col seguente:

«Spetta allo Stato il conferimento dei titoli legali di studio; la legge garantisce, attraverso gli esami che saranno da essa prescritti, parità di trattamento a tutti i candidati, da qualsiasi scuola provengano.

«Bernini, Basso, Cevolotto, Calamandrei».

«Aggiungere il seguente comma:

«Le scuole di qualsiasi tipo compiono un servizio pubblico, e sono tenute ad impartire un insegnamento ed un'educazione civica d'ispirazione democratica e nazionale.

«Bruni».

«Aggiungere alla fine dell'articolo il seguente comma:

«La scuola privata ha pieno diritto alla libertà d'insegnamento.

«Marchesi».

L'onorevole Corbino ha presentato il seguente emendamento:

«Alla fine del 5° comma sopprimere le parole: e per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole indicati dalla legge».

L'onorevole Corbino ha facoltà di svolgerlo.

Corbino. L'emendamento che propongo tende a sopprimere quella parte dell'articolo che conserva, o vorrebbe conservare per l'eternità, quegli esami che voi conoscete sotto il nome di esami di maturità, che sono il tormento degli alunni, delle famiglie, dei professori e che soltanto un filosofo come Gentile poteva introdurre nella nostra legislazione scolastica.

Come professore, con 25 anni di insegnamento, mi sono sempre rifiutato di presiedere le Commissioni di esami di maturità, perché mi sarei trovato in questa alternativa: o di bocciare tutti i candidati, o di promuoverli tutti, per l'impossibilità di pretendere dai giovani quello che bestialmente dalle istruzioni ministeriali era prescritto che ai giovani si dovesse domandare. (Commenti a sinistra).

Il problema dell'esame di maturità voi lo dovete considerare non soltanto dal punto di vista scolastico, perché da questo punto di vista non serve a niente. E ne è una prova l'esame dei documenti che si trovano nelle scuole di ordine superiore. Le tesi di laurea che arrivano alle Università, da quando imperversa l'esame di Stato, meriterebbero, per il 95 per cento, di trovare dei traduttori in italiano, perché non solo vi abbondano gli errori di sintassi, ma sono frequentissimi gli errori di ortografia che gli asini candidati metodicamente attribuiscono alle dattilografe, ma che io, talvolta, controllando, ho trovato proprio nel testo manoscritto della tesi di laurea presentata.

Non è, quindi, da questo lato soltanto che deve essere studiato il problema dell'esame di Stato; ma dal lato del turbamento che arreca alle famiglie e alla stessa struttura della scuola, perché, a partire dal mese di giugno, fino al mese di ottobre, comincia la caccia ai nomi dei Commissari e dei Presidenti delle Commissioni, di tutti coloro che conoscono l'uno o l'altro, il cognato, il portiere, il nipote, il padrone di casa o l'inquilino e via di seguito; ed è uno stormo di lettere di raccomandazioni avvilenti che tutti obbligano a rivolgere ora ad un collega, ora ad un altro, per impetrare che la maturità sia data ad un giovane che non la merita. (Commenti).

Ora, perché si deve mantenere tutta questa struttura che costa tormento alle famiglie? E che, badate bene — lo dico proprio a voi delle sinistre — vi dà la prova che lo Stato non crede a se stesso? (Commenti).

Una voce a sinistra. Perfettamente: ha sfiducia.

Corbino. Questo Stato che ha una scuola che prende i giovani appena entrati nella prima elementare, e poi, quando arrivano alla quinta, non ha fiducia negli uomini che hanno fatto cinque anni di insegnamento e pone i giovani sotto l'esame di altri; che poi li fa passare alla scuola media e, al momento degli esami, dubita ancora della serietà dei propri professori e li affida al controllo di altri? Ma con quale diritto questo Stato pretende poi di fare tutte le altre cose che noi gli vorremmo affidare e che con la Costituzione gli stiamo affidando, in lungo e in largo, quando, proprio in quella parte della sua attività in cui esso è padrone assoluto, dall'inizio alla fine, non ha fiducia nei propri organi?

Probabilmente l'esame di maturità fu approvato da Gentile come primo gradino per arrivare a quello sviluppo successivo di politica che noi abbiamo sanzionato con l'articolo 7. Ma io credo che, al punto in cui siamo, si possa conciliare l'esigenza della libertà dell'insegnamento in tutti gli ordini di scuole, con la soppressione dell'esame di maturità. Basta che le scuole ritornino ad essere il luogo dove si deve insegnare veramente e non dove si deve soltanto promuovere. Basta che gli alunni sappiano che nelle scuole debbono studiare e non imparare soltanto il metodo di domandare il sei o il diciotto con le dimostrazioni di massa, che sono alla base di quel salto delle statistiche di cui ha parlato la onorevole Bianchi; perché probabilmente la nostra collega non ha tenuto presente che quel passaggio da 9.500 a 19.000 maturità classiche, da 14.000 a 28.000 maturità magistrali nel giro di un anno, fu il risultato delle pressioni indecorose che, dopo l'autorizzazione partita dal Ministero della pubblica istruzione per rendere popolare una guerra che non lo era, si esercitarono su di noi nella forma più indegna dal punto di vista morale, che talvolta raggiunse persino la violenza fisica.

Bisogna quindi che noi per raggiungere lo scopo che la nostra collega Bianchi giustamente ha richiamato, di formare cioè una classe dirigente degna della nuova democrazia italiana, ritorniamo alle nostre tradizioni scolastiche del buon tempo antico, nel quale si passava anche senza esame, si passava anche senza licenza, ma quando si usciva dalle scuole, si usciva con un complesso di cognizioni che facevano di ciascuno di noi nella vita un uomo veramente utile.

Ecco perché io chiedo all'Assemblea che si pronunzi sulla questione dell'esame di Stato per gli ordini di scuole medie, riconoscendo una certa opportunità di conservarlo per l'esercizio professionale; e propongo che per gli ordini di scuole medie l'esame di Stato sia completamente abolito. (Applausi a destra).

Presidente Terracini. Sono stati così svolti tutti gli emendamenti presentati all'articolo 27.

Bisognerebbe adesso dare facoltà di parlare al rappresentante della Commissione per sentire il suo avviso sopra questi emendamenti; ma, data l'ora, penso che si possa per oggi sospendere la nostra discussione.

Non è una cosa troppo piacevole, lo confesso; perché significa che il problema del quale tante volte si è parlato permane sempre insoluto, cioè il problema della non saggia utilizzazione del nostro tempo.

Resta comunque inteso che nella prossima seduta anzitutto chiederò alla Commissione di esprimere il suo avviso sugli emendamenti all'articolo 27 svolti e mantenuti. Dopo di che procederemo alla votazione.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti