[Il 27 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

Leone Giovanni. [...] Non ha fondamento invece, a mio avviso, la critica mossa da alcuni colleghi — ed in particolare dagli onorevoli Tieri e Carboni — all'articolo 16, per quanto concerne il sequestro di polizia determinato dalla urgenza. Qui bisogna rendersi conto proprio di quello che osservavo poco fa a proposito di altre norme del progetto, cioè della difficoltà, per lo meno nell'attuale sistema di organizzazione giudiziaria, per il magistrato di stabilire un immediato contatto con le esigenze della vita collettiva, onde la necessità di stabilire la possibilità per l'organo di polizia di provvedere al sequestro. E per quanto concerne il pericolo degli arbitrî, devo a questo punto segnalare agli onorevoli colleghi la norma importantissima del primo comma dell'articolo 22, che è norma veramente nuova, originaria, rivoluzionaria direi dell'ordinamento giuridico; ed è quella norma nella quale si stabilisce che i dipendenti dello Stato e degli altri enti pubblici sono responsabili personalmente, in linea penale, civile ed amministrativa, degli atti di violazione di libertà.

Io penso che, a parte il fondamento giuridico nuovo della norma, questa vada segnalata come una valvola di garanzia, una valvola di sicurezza, del cittadino nei confronti dell'arbitrio del funzionario, il quale, ogni volta che si trova ad usare del potere che gli viene conferito dalla legge, deve sapere che corre il rischio, ove questo potere sia esercitato illegittimamente, cioè per uno scopo non conforme all'interesse pubblico generale, di dover rispondere anche in sede penale del suo atto illecito.

E sempre a proposito dell'articolo 16, non condivido — come mi permisi di far osservare ieri con l'interruzione, della quale chiedo scusa all'onorevole Tieri — non condivido la sua critica circa il riferimento dell'articolo 16 alla legge sulla stampa. Egli avrebbe preferito che il riferimento si volgesse verso il Codice penale. Io dirò che, a parte il fatto che il Codice penale, come la legge sulla stampa, è una legge di ordinaria produzione giuridica, vi è qualche elemento a favore della formula adottata dalla Commissione. Ed è questo: che mentre le leggi, e la legge sulla stampa in particolare, vengono prodotte attraverso un normale procedimento legislativo, cioè partecipazione di tutte le Camere all'attività legislativa, i Codici, di regola, vengono prodotti attraverso una legge delegata e, pertanto, alla formazione dei Codici il potere legislativo partecipa soltanto nel momento in cui conferisce al Governo la delega, ma non partecipa in concreto all'esame, al giudizio ed alla approvazione delle singole norme di legge.

In più, sempre per quanto riguarda l'articolo 16, va sottolineato che non si stabilisce la possibilità del sequestro per qualsiasi reato o per qualsiasi violazione amministrativa; ma questa possibilità di sequestro viene delimitata per quei reati e per quelle violazioni amministrative che siano specificatamente, tassativamente delineate e configurate nella legge sulla stampa. Una critica che ci induce, ci obbliga ad un riesame veramente sereno e legittima le nostre riserve, è quella che concerne il comma quinto dell'articolo 16. Io penso che quel comma, così come è formulato, non dovrebbe indurre in equivoci o in errori, in quanto esso sta a stabilire — come vi dimostrerò attraverso un breve riferimento ai lavori preparatori del progetto — il solo potere del Governo di assodare le fonti finanziarie e di informazioni degli organi della stampa; ma non potrebbe mai legittimare, come conseguenza di questa attività informativa, un qualsiasi provvedimento del potere esecutivo atto a reprimere o a comprimere la libertà di stampa.

A questo proposito ricorderò che quando si discusse questo comma fu proprio il Presidente della prima Sottocommissione, onorevole Tupini, che propose una nuova formula, che in sostanza è il nucleo della formula che ci viene presentata oggi, con questo intervento: «Osserva il Presidente Tupini — seduta del 27 settembre 1946 — che con una formula così ampia si corre il pericolo di superare i limiti in cui tutti si sono trovati d'accordo, col rischio di autorizzare implicitamente il potere esecutivo a destinare un funzionario di pubblica sicurezza a far parte dell'amministrazione del giornale; propone perciò che si dica»; e propose un'altra formula. E qui intervenne in sede di voto il collega Cevolotto per dichiarare di non opporsi a questa formula, ma che «desiderava che restasse a verbale che con questo non intendeva aderire ai principî esposti dall'onorevole Togliatti e che in materia di libertà di stampa restava fedele ai principî democratici dell'assoluta libertà».

Tuttavia, ad onta che, a mio avviso, quel quinto comma dell'articolo 16 non possa prestarsi a ingenerare equivoci interpretativi, penso che la Commissione si sia resa conto di questa mia riserva, di questa mia preoccupazione, di questa mia ansia. Io penso che sarebbe opportuno procedere ad una nuova formulazione, nella quale, modificandosi quella attuale, si chiarisca in maniera ancora più esplicita di quella che attualmente non sia adesso, che quella riserva, quel limate, quel potere stabilito dal quinto comma dell'articolo 16 mira soltanto a stabilire che il Governo può indicare al Paese che un certo organo di stampa attinge a certi elementi la sua consistenza finanziaria e attinge a certi circoli più o meno attendibili le sue notizie.

[...]

Mastino Pietro. [...] L'articolo 20[i], che riguarda la libertà di Stampa sarà sottoposto ad esame da un altro collega del gruppo autonomista e, quindi, io non ne devo parlare. Osservo solo che, in base a tale articolo, nei casi d'assoluta urgenza, l'autorità di pubblica sicurezza può sostituirsi all'autorità giudiziaria, che non possa intervenire, sequestrando il giornale, e che però tale disposizione si manifesterà insufficiente in qualche altro caso. Si potrà, ad esempio, ingiuriare ed oltraggiare altrui con un'insegna luminosa senza che il disposto dell'articolo 20, così com'è ora formulato, consenta alcuna facoltà d'intervento. Presento il caso all'attenzione della Commissione.

[...]

Trimarchi. [...] Onorevoli colleghi, è bene che noi abbiamo ben chiaro il concetto della libertà, ben chiaro il fine per cui la libertà è concessa e deve essere consentita nell'ambito sociale. Certo, noi vogliamo che la libertà individuale concepita come libertà dell'individuo di poter liberamente pensare, di poter seguire liberamente l'ascesa del suo pensiero, di poter seguire liberamente la determinazione della sua coscienza, sia intesa in senso assoluto. Nessuno può inibire la libertà dell'intimo pensiero dell'individuo, nessuno può penetrare nel santuario della coscienza. Ma quando la libertà si riferisce alla propaganda, alla stampa, alle manifestazioni comunque del pensiero umano nell'ambito sociale, quando cioè il pensiero dell'individuo va a trasferirsi negli altri membri della società attraverso la propaganda, della parola e della stampa, attraverso le manifestazioni pubbliche, allora, onorevoli colleghi, è necessario — dico è necessario — che venga posto un limite chiaro e preciso per salvaguardare i beni morali della società, per impedire che l'uso di questa libertà possa pervertire le coscienze, portare al male, condurre al vizio; perché, onorevoli colleghi, se questa libertà dovesse essere consentita per il male, consentitemi di dirlo, non potrebbe, non dovrebbe essere concessa. Perciò è bene che il limite ci sia e il limite è quello della morale, del buon costume, dell'ordine pubblico, limite che risponde — come dicevo — a questa esigenza: di salvaguardare il complesso sociale dal male. Ci sono alcuni che dicono che nella libertà di tutte le opinioni si raggiunge più facilmente la verità, si formano meglio gli istituti sociali. Ebbene, onorevoli colleghi, quando si tratta di materia opinabile, cioè quando si tratta di discutere su verità che non toccano la morale e che non sono sicuramente acquisite, onde si richiede l'apporto degli ingegni migliori della Nazione e delle varie opinioni, perché dal contrasto nasca meglio quello che possa essere comunemente accettato, allora, siamo perfettamente d'accordo, la libertà deve essere assoluta. Ma quando si tratta di stampe, di parole, di spettacoli che contrastano con l'ordine morale, con le più certe verità morali, in modo da ingenerare male nelle coscienze, allora la libertà deve essere limitata, perché, se il male, se l'idea cattiva si diffonde in mezzo a coscienze sicuramente formate, allora è chiaro che queste coscienze sono in grado di farvi fronte; ma quando il male si diffonde in mezzo a coscienze non sufficientemente preparate, in mezzo a coscienze giovanili le quali non hanno ancora l'esperienza della vita e la necessaria maturità, allora il male agisce, le perverte e rovina, perché trova il terreno adatto.

E noi l'abbiamo visto con la stampa immorale e pornografica che, dopo questa triste guerra, è una delle cose più deplorevoli che dobbiamo oggi constatare. Giovani, giovanette, ancora non completamente maturi, leggendo questa stampa che esalta il vizio e si compiace delle più oscene turpitudini, hanno procurato alle loro anime, alle loro coscienze inesperte mali irreparabili.

Se noi crediamo che sia compito dello Stato impedire la diffusione del male e la propagazione del vizio, è necessario appunto che la stampa abbia questo limite del buon costume.

Una parola sul sequestro. L'articolo 16 parla di questo benedetto sequestro. Effettivamente, quando noi leggiamo «sequestro», pensiamo facilmente al regime fascista che si servì di quest'arma, insieme con la censura preventiva, per togliere le libertà politiche.

Quando il fascismo, infatti, introdusse nella stampa il sequestro e la censura preventiva, intese, con questi due mezzi, impedire la libertà politica, togliere la libertà di stampa. E da allora in Italia non vi fu più opposizione. Pertanto, noi dobbiamo richiedere che di quest'arma si faccia l'uso giusto; vogliamo che il sequestro sia usato semplicemente per prevenire il buon costume, per prevenire la propaganda immorale, la propaganda pornografica.

In questi soli casi è legittimo usare questi mezzi che sono purtroppo tanto odiosi. In questi casi perché, onorevoli colleghi, quando si rifletta bene, vediamo che allora il sequestro è assolutamente necessario.

Si dice: Ma non vi sono le leggi penali che puniscono il reato di stampa? Non bastano le leggi penali per punire coloro che diffondono oscenità e idee contro il buon costume? Ebbene, io vi faccio questa domanda: ritenete voi che, quando il male si possa prevenire con un provvedimento preventivo, oppure si possa contemporaneamente reprimere quando sia stato commesso, non sia più conveniente reprimerlo sul nascere, anziché prima consentirlo per punirlo più tardi?

La risposta è ovvia. Oltre la pena che si commina al responsabile del reato di stampa, vi deve essere questo mezzo preventivo, onde far sì che il reato venga impedito. E crediamo che in tal modo si soddisfi interamente all'esigenza, al diritto che ha l'anima, che ha la coscienza di vedere salvaguardati i suoi valori morali e sociali.

[...]

Nobile. [...] All'articolo 16 non ho da fare alcuna osservazione. Alcuni colleghi si sono scandalizzati della disposizione contenuta nel quinto comma, che dà facoltà, al legislatore di stabilire controlli per accertare i mezzi di finanziamento nella stampa periodica, facoltà che a me pare, invece, indispensabile. Mi sarà permesso in proposito richiamarmi al pericolo che è derivato, e tuttora deriva, dalla stampa che è asservita all'industria degli armamenti. Questa stampa, speculando sui sentimenti nazionalistici, ed eccitando questi in tutti i modi, spinge l'opinione pubblica verso gli armamenti, additando quelli degli altri Stati. Con ciò essa costituisce uno dei pericoli più gravi alla pace tra i popoli, e perciò il controllo anzidetto è oggi indispensabile;

Un'osservazione ancora vorrei fare circa l'ultimo comma dell'articolo 16, concernente il divieto delle pubblicazioni a stampa, degli spettacoli e di tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume.

Sono perfettamente di accordo; e mi piace ricordare che a tale divieto ho io stesso contribuito con un emendamento presentato alla Commissione dei Settantacinque, che anche la porta firma del nostro caro Presidente.

In quell'occasione ricordai che in questi anni di dopoguerra si è avuto in Italia un dilagare di stampa pornografica (giornali, riviste, libri), il cui successo commerciale è basato sull'attrazione maggiore o minore che essa esercita sugli istinti umani più bassi. Una parte della cellulosa che importiamo dall'estero è destinata a tale ignobile industria, mentre la valuta necessaria per acquistarla potrebbe adoperarsi per altre cose essenziali alla nostra ricostruzione, come il carbone, o alla nostra alimentazione, come il grano. Ricordavo in quell'occasione che è davvero mortificante per un Paese di millenaria civiltà, quale il nostro, dover prendere in questo campo lezioni da altri paesi di più recente storia, come la Russia sovietica, dove (e ne feci io stesso l'esperienza) nessuna pubblicazione o manifestazione del genere è permessa. È assurdo pensare che i fautori della libertà di iniziativa industriale o commerciale vogliano estenderla al punto da permettere che loschi speculatori si arricchiscano corrompendo la gioventù. La Costituzione della Repubblica deve con le sue disposizioni proclamare la necessità di un profondo rinnovamento anche nel campo morale.


 

[i] In realtà l'articolo sulla libertà di stampa nel progetto di Costituzione è il 16 e non il 20.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti