[Il 26 marzo 1947 l'Assemblea Costituente inizia la discussione generale del Titolo primo della Parte prima del progetto di Costituzione: «Rapporti civili».
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Tieri. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ciascun articolo di questo primo titolo della prima parte del progetto di Costituzione ha in comune con quasi tutte le altre parti del progetto il pregio di incominciare bene e il difetto di terminare male: desinit in piscem.
Vediamo quindi qualche esempio. L'articolo 8 si apre con la giusta affermazione della inviolabilità della libertà personale e si chiude con la condanna di ogni violenza fisica e morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà in cui quell'avverbio «comunque» fa accapponare la pelle.
[...]
In ogni modo, che cosa trova il popolo in questo titolo dedicato ai rapporti civili? Trova una serie di sottili e perfide invenzioni intese a limitare per cento vicoli maliziosi le sue libertà fondamentali. Se gli avessero detto, per esempio, che la libertà personale è inviolabile — articolo 8 — meno che nei casi previsti dalla legge, il popolo avrebbe potuto aspettare con qualche fiducia la legge e, per mezzo del suo voto elettorale, fare in modo che la legge rispettasse poi nella massima misura la inviolabilità della libertà personale. Invece all'affermazione di tale libertà seguono immediatamente, nello stesso progetto costituzionale e nel medesimo articolo, le equivoche apparizioni delle misure di polizia; per cui qualsiasi governo futuro, anche un governo dispotico, quale purtroppo può nascere da un momento all'altro negli stessi regimi parlamentari (Commenti a sinistra), avrà il diritto di proclamarsi fedelissimo alla Carta statutaria, perfino se avrà promulgato una legge o emesso un regolamento di polizia, con cui, rispettato il caso eccezionale «di necessità e urgenza» si dia al poliziotto la facoltà di operare fermi, arresti, retate, oggi alla vigilia di una elezione, domani in occasione di un avvenimento politico, posdomani durante un viaggio presidenziale o che so io. Si può anche non condividere la spiritosa opinione napoleonica secondo la quale una Costituzione dev'essere breve e oscura; ma la lunghezza non deve servire a manomettere le libertà subito dopo la loro proclamazione e la volontà di chiarezza non deve armare eccessivamente gli organi dello Stato contro le libertà del cittadino.
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Bettiol. [...] Onorevoli colleghi, io non scendo all'esame di ogni singola particolare disposizione legislativa. Il tempo tra l'altro non me lo consente. Ma debbo fare qualche osservazione a proposito di qualche articolo, nei confronti del quale, insieme con il collega Leone, ho presentato anche qualche particolare emendamento. Per esempio, ho sentito dire in questo momento dal collega Tieri, quasi scandalizzato, che l'articolo 8 prevede anche delle limitazioni alla libertà individuale. Ma da che mondo è mondo, ogni e qualsiasi Costituzione, proprio perché Costituzione, dopo l'affermazione dei diritti fondamentali di libertà, prevede i casi nei quali questa libertà può essere limitata. Ed è bene che questi casi: l'arresto in seguito a mandato del giudice, il fermo di polizia — che già esisteva all'epoca dei vecchi regimi democratici, e che poi è stato consacrato dal Codice di procedura penale — siano oggi anche consacrati nella Costituzione, nell'ambito, nei limiti di tutte le garanzie formali e procedurali di cui fa cenno l'articolo 8.
Però, badate, onorevoli colleghi, che l'articolo 8, come tale, è una specie di groviglio di vipere, perché tre situazioni profondamente diverse sono state raggruppate in una sola norma, molto confusa, affatto chiara, che l'uomo della strada non capisce. Certo, noi dobbiamo cercare di fare una Costituzione non per i giuristi, che hanno la mente già orientata verso l'anatomia delle disposizioni di legge, e sono portati a dividere, a sottolineare, a sottilizzare i concetti giuridici; ma noi abbiamo bisogno di norme chiare, precise, dettagliate, che servano all'uomo della strada il quale deve mandare a memoria — dico a memoria — questi articoli della Costituzione della Repubblica italiana.
Ecco perché io credo che l'articolo 8 debba scindersi almeno in due articoli, in cui sia chiaramente distinto il caso della limitazione della libertà individuale in seguito a mandato dell'autorità giudiziaria, e quello del fermo di polizia; e in secondo luogo sia affermata la libertà di domicilio, che oggi è sparita quasi tra le pieghe di questo articolo 8, o male sottolineata; e sia poi chiaramente affermata la libertà della persona e del domicilio da perquisizioni e da ispezioni non consentite. Qui c'è bisogno di chiarezza; c'è bisogno di precisione; c'è bisogno di usare del ferro anatomico per distinguere, per separare queste tre ipotesi.
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Carboni. [...] Se una Costituzione democratica, come vuole e deve essere la nostra, può definirsi la legge delle libertà popolari, indubbiamente spetta in essa un posto preminente a quelle norme che tendono a garantire le libertà civili, quelle libertà che costituiscono un attributo naturale della personalità, il diritto umano per eccellenza.
Questo insopprimibile diritto dell'uomo trova la sua consacrazione nella proclamazione iniziale del titolo: la libertà personale è inviolabile.
La solenne dichiarazione del primo comma dell'articolo 8 non è soltanto una norma, ma, direi, l'affermazione programmatica, il punto di partenza, dal quale derivano tutte le altre proposizioni del titolo. Ed essa imprime al progetto di Costituzione carattere democratico ed anche quel carattere antifascista, di cui parlava poco fa l'onorevole Bettiol, in senso rispondente all'esigenza popolare, specie in questo momento di rinascita della democrazia, dopo venti anni di oppressione, durante i quali della personalità umana, della dignità umana, fu fatto strazio nefando.
I due comma seguenti dell'articolo, il secondo ed il terzo, più che costituire eccezione al principio fissato nel primo, esprimono il bisogno di delimitare costituzionalmente i termini entro i quali la libertà personale potrà soffrire limitazioni. Il carattere costituzionale dei comma secondo e terzo sta appunto nella organizzazione delle garanzie dirette ad impedire la violazione della libertà personale.
Detto questo, desidero di esprimere alla Commissione non una mia avversione, ma uno stato di perplessità dell'animo mio in confronto della disposizione finale dell'articolo 8, là dove si dice: «È punita ogni violenza fisica o morale a danno delle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà». Pure rendendomi conto del motivo che ha determinato la Commissione all'inserzione di questa norma, per giusta reazione all'abuso invalso, ho l'impressione che essa rimpicciolisca la solennità della proclamazione iniziale, che contrasti, per la sua formulazione quasi regolamentare, con la maestà del principio consacrato nel primo comma. E mi pare altresì che la disposizione terminale sia superflua, perché, una volta proclamata l'inviolabilità della libertà personale, qualunque atto violatore sarà illegale, e necessariamente dovrà essere considerata criminale qualsiasi violenza fisica o morale in danno dei detenuti. Perciò, come vi dicevo, mi trovo in uno stato di perplessità di fronte ad una disposizione della quale per ragioni contingenti non mi sento da un lato di poter dire che debba essere soppressa, ma della quale, d'altro lato, non percepisco il carattere costituzionale. E perciò mi limito ad esprimere alla Commissione ed all'Assemblea il mio dubbio.
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Preziosi. [...] Articolo 8 della Costituzione. L'articolo 8 della Costituzione, così com'è formulato, a me pare che debba essere modificato soprattutto nella parte del terzo comma, subito dopo i casi eccezionali di necessità e di urgenza, indicati tassativamente dalla legge, per cui l'autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie circa la libertà personale. Insomma si dà una facoltà all'autorità di pubblica sicurezza, che indubbiamente anche per i casi eccezionali può essere conferita all'autorità giudiziaria. E non si tiene presente quali sono gli errori che provengono da questa facoltà data all'autorità di pubblica sicurezza, quando essa non trova rispondenza di garanzia in quello che costituisce materia di immediato intervento del magistrato. Perché quando si dice che l'autorità di pubblica sicurezza può prendere misure provvisorie e queste comunicare entro 48 ore all'autorità giudiziaria sembra a prima vista che la garanzia del cittadino esista, che la libertà sia salvaguardata.
E invece, quando si va a leggere ancora il terzo comma dell'articolo 8, apprendiamo dal progetto di Costituzione che, se l'autorità giudiziaria non convalida quelle provvisorie misure di eccezione nei termini di legge, esse sono revocate e restano prive di effetto. Dobbiamo un poco riflettere su questo comma che, a prima vista, dà la sensazione che la libertà dei cittadini sia garantita appieno, mentre invece non è così. Infatti, vediamo un po' quello che può avvenire se fosse trascritto nella Costituzione il comma così com'è configurato nel progetto. Quando l'autorità di pubblica sicurezza arresta un individuo, che può essere innocente — se è vero che il progetto di Costituzione afferma un principio giuridico di indubbia importanza per cui non si può parlare di reo fino a quando non intervenga una sentenza da parte dell'autorità giudiziaria — deve denunciarlo entro 48 ore all'autorità giudiziaria. Ma cosa fa quest'ultima?
Noi avvocati, che ci occupiamo di cose penali, sappiamo che molte volte un imputato, anche se denunziato per un reato che non esiste, per una misura che sembra di carattere urgente, secondo il ragionamento molte volte errato della pubblica sicurezza o dei carabinieri, sta a marcire nelle prigioni, alcune volte per 10, 20, 30 giorni, senza essere interrogato.
Dunque, allora, bisogna che nel progetto di Costituzione vi sia una vera valvola di sicurezza, per cui la libertà del cittadino sia garantita appieno.
Io dico che se, dopo la denunzia obbligatoria da parte dell'autorità di polizia giudiziaria, fatta entro 48 ore, interviene il magistrato secondo i termini di legge, bisogna intendersi sul significato di questi termini di legge e sulla loro precisa durata.
Bisogna dire, con un emendamento — che io ho presentato e sottoporrò alla vostra considerazione, completando così questa parte di Costituzione che riguarda veramente la parte più sacra del cittadino (la sua libertà individuale) — che l'autorità di polizia giudiziaria può e deve denunziare, entro 48 ore, all'autorità giudiziaria, ma questa ha l'obbligo di provvedere entro le successive 48 ore; altrimenti s'intende revocato e privo di ogni effetto il provvedimento dell'autorità di polizia giudiziaria.
Sarà soltanto così che potremo impedire possibili soprusi, da parte degli organi esecutivi, prevenendo questi col rendere fattivo e attivo l'intervento dell'autorità giudiziaria per ogni caso.
Si potrà opporre, a questo proposito, un ragionamento che, semmai, riguarderà la difficoltà di agire, la difficoltà di speditezza del muoversi dell'autorità giudiziaria. Si potrà dire che non vi sono uffici giudiziari così completamente attrezzati da potere (ricevuta entro le 48 ore la denunzia da parte dell'autorità di pubblica sicurezza, sulla responsabilità di un cittadino) provvedere e vedere se ricorrono estremi tali, elementi tali per cui il processo debba essere avviato verso la sua fase di istruzione sommaria formale.
Ma, allora, si attrezzino uffici speciali presso l'autorità giudiziaria, a capo dei quali siano magistrati esperti in cose penali, i quali, appena saranno pervenute le denunce da parte dell'autorità di polizia giudiziaria, vedranno entro le 48 ore se vi sono, almeno in apparenza, elementi tali che possano autorizzare la permanenza del cittadino nel carcere, o debbano far provvedere ad una immediata escarcerazione.
Invero la prima Sottocommissione nella redazione del progetto, per quanto ho già detto, si accorse del pericolo che incombeva sulla libertà dei cittadini, se è vero che, nella dizione dell'articolo, in un primo momento era detto: «La persona fermata o arrestata deve essere rimessa in libertà a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia alla autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori quarantotto ore abbia emesso ordine o mandato di cattura, ecc.»; la prima Sottocommissione aveva reputato urgente ed indispensabile che la situazione del cittadino arrestato e denunciato fosse esaminata entro le 48 ore dall'autorità giudiziaria ed intervenisse, se mai, in caso di evidente responsabilità, un mandato di cattura. Ognuno di noi avvocati sa che molte volte andiamo in udienza dopo mesi, con un cittadino in istato di detenzione senza che comunque la sua detenzione sia stata perfezionata da un mandato di cattura notificato regolarmente alla parte.
Comunque a me pare che questo mio emendamento — che credo aderente alla realtà pratica dei fatti — (che vuole che assolutamente la libertà del cittadino sia garantita in quei termini voluti dalla legge, per cui l'autorità giudiziaria deve, entro le 48 ore, esaminare i fatti e convalidare quello che è stato l'operato dell'autorità di polizia giudiziaria) risponda assai bene a quella che è la garanzia che ad ogni cittadino italiano deve essere data così come è data ad ogni cittadino di ogni paese dalle libere leggi che vigono in essi.
A cura di Fabrizio Calzaretti