[Il 17 settembre 1946, la prima Sottocommissione della Commissione per la Costituzione, nell'ambito della discussione degli articoli proposti dai relatori La Pira e Basso sui principî dei rapporti civili, prosegue l'analisi dell'articolo 3 dei relatori.]

Il Presidente Tupini ricorda che oggetto dell'odierna discussione è l'articolo 3, di cui nella seduta precedente fu discussa e approvata la prima parte. Sottopone perciò all'esame della Sottocommissione il testo del terzo comma dell'articolo 3°. La formula proposta dal Relatore onorevole Basso è la seguente: «Il fermo o l'arresto di polizia non può durare più di 48 ore; dopo tale termine il fermato deve essere rimesso in libertà, a meno che non sia prima intervenuta denuncia all'autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori 48 ore abbia emesso ordine o mandato di cattura».

Lucifero propone che alla parola «prima» sia sostituita la parola «nel frattempo», e si dica: «a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all'autorità giudiziaria».

Il Presidente Tupini osserva che tale proposta chiarisce meglio la sostanza dell'articolo.

Lucifero rileva che, ancor più semplicemente si potrebbe dire: «a meno che nel frattempo non sia intervenuto un mandato di cattura».

Presidente Tupini gli pare che questa seconda proposta venga a mutare sostanzialmente i termini della questione. Nella prima parte del comma si è stabilito che il fermo o l'arresto di polizia non può durare più di 48 ore, trascorse le quali il fermato viene rimesso in libertà, a meno che non sia intervenuta denuncia all'autorità giudiziaria, la quale entro ulteriori 48 ore dovrebbe emettere un ordine o mandato di cattura. Non si possono sopprimere le altre 48 ore concesse all'autorità giudiziaria per emanare con cognizione di causa il mandato di cattura, altrimenti il termine diventerebbe troppo breve.

Moro per ragioni di chiarezza giuridica, propone che l'espressione: «dopo tale termine il fermato deve essere rimesso in libertà» venga sostituita dall'altra: «decorso tale termine, il fermato deve essere rimesso in libertà».

Il Presidente Tupini è favorevole alla proposta.

Mastrojanni fa presente che, nella prassi giuridica, è fuori dalla realtà il presumere che nelle 48 ore l'autorità giudiziaria possa esaminare la denuncia della pubblica sicurezza e decidere se procedere o meno con un ordine o un mandato di cattura. Il termine è assai breve e potrebbe avvenire che, per evitare che il fermato sia rimesso in libertà, si procedesse affrettatamente ad emettere un ordine di cattura, salvo poi a revocarlo. È noto che l'autorità giudiziaria, prima di emetter l'ordine di cattura, procede spesse volte a preliminari indagini, specie quando si tratta di denunce complesse che presentano una qualche difficoltà nella identificazione della natura giuridica del reato. Se si toglie all'autorità giudiziaria la possibilità di esaminare con una certa tranquillità le denunce, si corre il rischio di aggravare la condizione del cittadino, sottoponendolo ad un ordine di cattura non ponderatamente emanato. Propone perciò che si elimini l'ultima parte proposta, concernente l'emissione dell'ordine o mandato di cattura, perché basta il fatto che l'autorità giudiziaria sia in possesso di una denuncia regolarmente presentata, perché giudichi se si debba procedere. Propone che si dica semplicemente: «Il fermato deve essere rimesso in libertà, se nelle 48 ore successive non sia pervenuta all'autorità giudiziaria regolare denuncia».

Merlin Umberto, pure preoccupandosi di quello che ha detto l'onorevole Mastrojanni, non ritiene possibile che l'autorità giudiziaria non emetta mandato di cattura.

Non si può trattenere un cittadino in arresto, se non dopo ordine o mandato di cattura. Il termine delle 48 ore è poi fissato anche da consuetudini pratiche e non può essere considerato troppo breve; esso è sufficiente per assumere formali informazioni e vedere se la denuncia è motivata.

Il Presidente Tupini osserva che il legislatore, messo di fronte al termine di 2 giorni, emanerà disposizioni che consentano all'autorità giudiziaria di agire con una certa sollecitudine e l'autorità giudiziaria stessa si creerà organi adatti a provvedere in conseguenza. Perciò è del parere di tener ferma la dizione proposta. Ricorda che compito della Commissione è di tutelare la libertà del cittadino e che si deve tutelarla in termini concreti.

Mancini fa presente che scopo della norma in esame è di fare un modo che dopo 48 ore un cittadino venga rimesso in libertà quando non sia emanato un ordine o mandato di cattura. Se si accetta la proposta dell'onorevole Mastrojanni, si avrà in pratica questa conseguenza: un cittadino viene arrestato dalla pubblica sicurezza e questa dopo 48 ore presenta il suo verbale. L'autorità giudiziaria lo manterrà in carcere fino a quando non avrà completato la sua istruzione, dal momento che non si è fissato per questa indagine alcun limite di tempo. Al termine di essa o rimetterà in libertà l'arrestato o emanerà un ordine, o un mandato di cattura. Accadrà certamente che l'arrestato rimarrà in carcere qualche mese, prima che a suo riguardo venga presa una decisione. È necessario invece stabilire che dopo 48 ore l'autorità giudiziaria deve emanare l'ordine o il mandato di cattura, o rimettere in libertà l'arrestato.

Mastrojanni osserva che nella pratica giudiziaria, anche più recente, non viene quasi mai rispettata la norma del Codice di procedura penale, la quale stabilisce che entro le 24 ore il detenuto deve essere interrogato. La recente legislazione prescrive pure che, se entro 8 mesi non ha termine l'istruttoria, il detenuto deve essere scarcerato. Ora è avvenuto che un detenuto per rapina a mano armata è stato scarcerato perché il giudice istruttore non aveva proceduto al suo interrogatorio. Questa è la situazione giudiziaria in Roma, dove abbiamo detenuti che non sono interrogati se non dopo 4 o 5 mesi. Se si fissa un termine di sole 48 ore, c'è da temere che tutti gli arrestati siano rimessi in libertà, anche quelli responsabili di gravi reati, e ciò con evidente danno della società. Occorre trovare una formula che consenta una pratica attuazione. Non ritiene che possa considerarsi tale quella che restringe a 48 ore la possibilità per l'autorità giudiziaria di emanare un ordine o mandato di cattura.

Un magistrato che abbia coscienza della sua missione non potrà, appena ricevuta una denuncia, decidere se deve emettere o no mandato di cattura, a meno che non si tratti di fatti gravi ed evidenti. All'infuori di questi casi, si richiede una ponderazione e una indagine, anche sommarie, per poter identificare la natura del reato. Propone pertanto che il termine di 48 ore sia portato a 4 o 5 giorni.

Mancini fa osservare che le preoccupazioni dell'onorevole Mastrojanni risultano infondate, quando si tenga presente la differenza tra ordine di cattura e mandato di cattura. L'ordine di cattura è emanato dal Procuratore della Repubblica e non richiede che una semplice deliberazione preventiva. Il mandato di cattura deve essere invece emanato dal giudice istruttore, previa richiesta del Procuratore della Repubblica e richiede opportune indagini. L'ordine di cattura può essere emesso subito non appena fissata la epigrafe del reato, e non richiede alcuna giustificazione. Nessun delinquente potrà essere rimesso in libertà quando il Procuratore della Repubblica evinca dal verbale che si tratta, per esempio, di rapina o di omicidio. In un secondo tempo, poi, l'ordine di cattura si potrà trasformare in mandato di cattura emesso sempre dal giudice istruttore su richiesta del Procuratore della Repubblica.

Il Presidente Tupini fa presente all'onorevole Mastrojanni che la preoccupazione di cui ha fatto cenno, circa il termine di otto mesi previsto dal codice di procedura penale si riferisce ad ipotesi diverse. Per emettere l'ordine di arresto basta che il Procuratore della Repubblica lo ritenga necessario. Il termine di otto mesi si riferisce al periodo in cui l'istruttoria dev'essere compiuta.

Cevolotto ritiene che le preoccupazioni dell'onorevole Mastrojanni vadano al di là della realtà, perché un dubbio circa la possibilità e l'opportunità di emanare un ordine o un mandato di cattura sussiste solo nei casi in cui ci sia una denuncia che ha bisogno di istruzione. In questi casi la stessa autorità di pubblica sicurezza non procede senz'altro all'arresto, ma trasmette la denuncia alla Procura della Repubblica la quale, prima di emettere il mandato di cattura, esamina se vi siano gli estremi che lo permettano. L'arresto da parte della pubblica sicurezza avviene quasi sempre o per flagranza o per prove macroscopiche: voce pubblica, fatti salienti, pericolo di fuga, ecc., nei quali casi vi è la necessità di un arresto immediato. In questi casi la tutela da parte della Procura della Repubblica è esercitabile perfettamente nelle 48 ore. In fondo, la revoca o la messa in libertà avverrà quasi sempre nei casi in cui l'arresto è avvenuto in flagranza, ma per un titolo di reato che non comporta la detenzione preventiva.

Il Presidente Tupini, per tranquillizzare chi ritiene troppo limitato il termine di 48 ore, propone che il termine sia raddoppiato e portato a 96 ore.

Togliatti rileva che in tal modo si verrebbe ad estendere eccessivamente il potere di arresto preventivo senza mandato di cattura. Stabilendo due giorni per l'autorità di pubblica sicurezza, e quattro giorni per l'autorità giudiziaria, si arriverebbe ad una settimana.

Lucifero è del parere di mantenere il termine di 48 ore. Preferisce che l'autorità giudiziaria abbia la responsabilità di aver effettuato l'arresto e magari allo scadere del termine si trovi in difetto, piuttosto che estendere il termine a sei giorni.

Corsanego esprime la preoccupazione che quando l'autorità giudiziaria si trovi vincolata da un termine troppo breve, nel timore che le sfugga un presunto reo sia portata ad emettere, come misura precauzionale, il mandato di cattura. In tal caso il termine di 48 ore non farebbe che danneggiare il fermato stesso.

La Pira, Relatore, in analogia con la costituzione spagnola, propone un termine di 72 ore.

Marchesi concorda con l'onorevole Togliatti sull'opportunità di associare la responsabilità dell'autorità di pubblica sicurezza alla responsabilità dell'autorità giudiziaria. Ritiene che lo spazio di 48 ore sia sufficiente, senza ricorrere all'esempio della Spagna. Se si prolungano i termini, l'autorità giudiziaria si troverà ugualmente nelle condizioni di emettere il mandato senza avere sufficientemente esaminato la denuncia della polizia. Si troverà quindi nelle stesse condizioni, mentre invece occorre stimolarla e incalzarla.

Mastrojanni riferendosi alla giusta osservazione dell'onorevole Marchesi, per far sì che il termine proposto non resti soltanto una platonica enunciazione nei confronti del cittadino e per evitare che l'autorità giudiziaria, o l'autorità di pubblica sicurezza tenuta all'osservanza rigida di questa norma, possa impunemente non osservarla, propone che nella stessa Costituzione si preveda la sanzione per l'autorità di pubblica sicurezza o per l'autorità giudiziaria inadempiente.

Il Presidente Tupini fa osservare all'onorevole Mastrojanni che, per quanto riguarda l'osservanza della Costituzione, i progetti presentati prevedono per tutte le autorità delle sanzioni di carattere generale, per cui sarebbe fuori tempo in questo momento una proposta del genere. Prega perciò l'onorevole Mastrojanni di non insistere. Se mai, quando verranno in discussione quei determinati articoli, egli potrà precisare le sue osservazioni riferentisi al caso in esame.

Mette quindi ai voti una prima proposta, di allungare a 96 ore il termine concesso all'autorità giudiziaria per emettere il mandato di cattura.

(Non è approvata).

Mette ai voti la seconda proposta, di estendere il termine da 48 ore a 72.

(Non è approvata).

Dichiara approvato il termine di 48 ore per l'emissione del mandato di cattura.

Mette ai voti la proposta dell'onorevole Moro, che mira a sostituire la parola «dopo» con l'altra «decorso».

(È approvata).

Pone ai voti la proposta dell'onorevole Lucifero che il termine «prima» sia sostituito con il termine «nel frattempo».

(È approvata).

Fa presente che, dopo gli emendamenti approvati, l'intero capoverso verrebbe ad avere la seguente formulazione:

«Il fermo o l'arresto di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e non può durare in nessun caso più di 48 ore. Decorso tale termine, il fermato deve essere rimesso in libertà, a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all'autorità giudiziaria e questa entro le ulteriori 48 ore abbia emesso ordine o mandato di cattura».

Lo pone ai voti.

Lombardi Giovanni fa una dichiarazione di voto sull'intero capoverso dell'articolo 3. Poiché si è discusso se il termine dell'arresto debba essere di 48, 72 o 96 ore, afferma che la libertà è cosa troppo sacra perché si possa misurare come una merce qualsiasi. Ritiene che la Commissione non abbia inteso il significato profondo del principio fondamentale, il quale è che la pubblica sicurezza può agire solo su mandato dell'autorità giudiziaria, e può agire solo in caso di flagranza. Quale fatto ostacola che questo principio sia preso in considerazione? Si tratterebbe di aspettare che entro 48 ore dall'esposto o dalla denuncia della pubblica sicurezza, l'autorità giudiziaria intervenga con un suo atto. Allora la questione del termine di 48 o di 72 o di 96 ore verrebbe meno. Sul rapporto della pubblica sicurezza è l'autorità giudiziaria che ordina, salvo il caso di flagranza.

Il Presidente Tupini ricorda all'onorevole Lombardi che la parte dell'articolo a cui egli si riferisce è stata già votata. Qui si tratta soltanto di votare l'intera dizione dell'articolo così come è stata discussa e approvata punto per punto. L'onorevole Lombardi può soltanto dichiarare se approva o no.

Lombardi Giovanni dichiara di non approvare la formulazione dell'articolo perché, come ha già detto, la libertà umana è una cosa troppo sacra per sottoporla a termini. Solo la flagranza può legittimare l'intervento della pubblica sicurezza. In ogni altro caso è l'autorità del magistrato che deve intervenire.

Basso, Relatore, dichiara che voterà a favore, ma fa presente la preoccupazione che quando si dice «fermato» non si prevede l'ipotesi che un cittadino sia anche arrestato. Propone pertanto che per maggiore chiarezza si dica «la persona fermata o arrestata».

(La Commissione approva).

Il Presidente Tupini pone ai voti l'intera prima parte dell'articolo 3 con gli emendamenti approvati:

«La libertà personale è inviolabile.

Nessuno può esserne privato, se non per atto dell'autorità giudiziaria e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.

Il fermo o l'arresto di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e non può durare in nessun caso più di 48 ore. Decorso tale termine, la persona fermata od arrestata deve essere rimessa in libertà, a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all'autorità giudiziaria e questa, entro le ulteriori 48 ore, abbia emesso ordine o mandato di cattura».

(È approvata).

Pone in discussione la restante parte dell'articolo 3 che nella proposta del relatore La Pira suona così:

«Ogni forma di rigore e di coazione, che non sia necessaria per venire in possesso di una persona o per mantenerla in stato di detenzione, così come ogni pressione morale o brutalità fisica specialmente durante l'interrogatorio, è punita».

Osserva che la formulazione di questo capoverso è pletorica e quindi può prestarsi ad interpretazioni equivoche. Ricorda che la forma delle norme da inserire nella Costituzione deve essere quanto più possibile concisa e chiara. Pertanto propone, salvo una migliore formulazione, la seguente dizione: «Alla persona fermata o arrestata è garantito un trattamento umano». Questa affermazione risponderebbe anche alla terminologia che si deve usare in una Costituzione, che dovrebbe contenere solo affermazioni di carattere generale. Penserà il legislatore a sviluppare il concetto nelle leggi penali.

Corsanego si dichiara in linea di massima d'accordo; però vorrebbe trovare una via di mezzo tra la forma pletorica proposta dai relatori e quella laconica del Presidente.

Affermato il concetto che l'arrestato o il fermato deve essere trattato umanamente, bisognerebbe aggiungere una norma, sia pure espressa in modo sintetico, per impedire in ogni caso il ricorso ad angherie o vessazioni di qualsiasi genere. Converrebbe inoltre sopprimere la parola «specialmente» riferita al trattamento da usarsi durante l'interrogatorio, perché essa potrebbe in certo qual modo autorizzare l'uso di mezzi inumani in altri momenti.

Togliatti dichiara di non poter accettare la formula proposta dai correlatori. Gli sembra assurdo che nella Costituzione si parli dei modi di impossessarsi di una persona. Se si deve arrestare un ladro è evidente che è necessario mettergli le manette, e che possa anche seguire una colluttazione, ma di questo non si può parlare in una Costituzione. In essa si deve dire della condizione in cui viene a trovarsi il cittadino arrestato o fermato, cioè quando si è venuto a creare nei suoi riguardi quello speciale stato di diritto che è definito dai capoversi precedenti, e per cui ogni violenza contro di lui è proibita. Questo unicamente si deve dire e niente più. Perciò propone la formula seguente: «È proibita e viene punita dalla legge ogni forma di violenza contro ogni cittadino arrestato o fermato».

Basso, Relatore, ritiene che le preoccupazioni che sono state prospettate verrebbero meno se si adottasse la formula che egli aveva originariamente proposto e cioè: «È vietato sottoporre l'individuo privato della libertà personale a trattamenti brutali e costrizioni morali e materiali». La formula del collega La Pira riproduce esattamente quella della Costituzione francese. Preferirebbe il suo testo primitivo.

Cevolotto si dichiara in massima d'accordo con gli onorevoli Togliatti e Basso. Quello di cui ci si deve preoccupare non è tanto il trattamento dell'arrestato durante l'interrogatorio da parte del giudice istruttore o del Procuratore della Repubblica. Fortunatamente anche in passato, nei riguardi di queste autorità, non si sono dovute in genere deplorare violenze o costrizioni. Queste invece, come risulta dall'esperienza professionale e personale di molti, si mettevano in essere da parte della pubblica sicurezza.

Togliatti aggiunge che si verificavano anche nelle carceri.

Cevolotto ricorda che i magistrati, quando si protestava contro tali abusi, sapevano bene che si parlava in nome della libertà, ma ritenevano forse opportuno che non si facesse perdere all'autorità di pubblica sicurezza il suo prestigio, il che rappresenta un'idea alquanto discutibile. Comunque, ora è necessario affermare il principio della tutela dell'individuo contro possibili forme di violenza, ma a suo avviso tale principio non può essere affermato nella Costituzione che in linea generale. Non si può trasformare la Costituzione in un Codice penale.

Mastrojanni desidererebbe che il principio della tutela dell'arrestato contro ogni forma di violenza fosse affermato in modo più esplicito, e che fosse esteso a tutto il periodo della detenzione. Propone perciò la seguente formula: «Ogni forma di violenza fisica o morale durante l'arresto e il periodo di detenzione costituisce reato».

Merlin Umberto ritiene che la formula proposta nella relazione La Pira sia pletorica e concorda con l'onorevole Togliatti circa la convenienza di sopprimere l'inciso: «specialmente durante l'interrogatorio».

Lombardi Giovanni raccogliendo le osservazioni fatte dai precedenti oratori propone la formula seguente: «Contro qualunque imputato e detenuto ogni forma di violenza o di vessazione è vietata con sanzioni che saranno contemplate dalle leggi penali».

Lucifero esprime un dubbio di carattere sistematico; se, cioè, non sarebbe meglio collocare questa norma nell'articolo successivo che parla solo dell'imputato. È anch'egli del parere che lo stesso trattamento si debba fare sia all'imputato che al fermato ed è d'accordo con l'onorevole Mastrojanni sulla necessità di dire esplicitamente che ogni violenza contro l'imputato o il fermato costituisce reato.

Il fatto di dire solo nell'ultimo capoverso che l'infrazione alle norme in esso contenute è punita farebbe supporre che le altre infrazioni potrebbero andare esenti da punizione. Occorre trovare una formula che dica che tutte le infrazioni alle disposizioni dell'articolo sono punite.

Basso, Relatore, rileva che l'osservazione dell'onorevole Lucifero è tecnicamente esatta. Dicendosi: «è punita...» o «costituisce reato», si usa un'espressione che meglio si adatta a un Codice di procedura penale. Spetterà al legislatore di comminare la sanzione. Nella Costituzione si deve soltanto affermare un principio generale di responsabilità per lo Stato e per i funzionari, per qualunque violazione. Ripete che ritiene preferibile riportare la formula da lui proposta.

Mancini esprime il dubbio che la questione di cui si parla nel capoverso in discussione non debba essere trattata in sede di Costituzione, perché costituisce argomenti di Codice di procedura penale. In sede di Costituzione ci si dovrebbe limitare ad affermare soltanto il principio inviolabile della libertà personale.

De Vita ritiene che il testo proposto potrebbe essere così modificato:

«È vietata ogni forma di rigore e di coazione che non sia necessaria per venire in possesso di una persona o per mantenerla in stato di detenzione, così come ogni pressione o brutalità fisica».

Moro associandosi all'onorevole Basso afferma che, a suo avviso, l'argomento in discussione dovrebbe formare oggetto di regolamento costituzionale. Proprio in sede di Costituzione è necessario proibire quelle ulteriori limitazioni della libertà personale che si concretano nella brutalità fisica contro le persone in stato di detenzione. Pensa, peraltro, che non sia opportuno adoperare l'espressione «è punita», perché alla Costituzione compete soltanto di indicare i principî fondamentali. Vorrebbe aggiungere la parola «detenuti» alla formula dell'onorevole Togliatti, che modificherebbe in questo senso: «È proibita ogni forma di violenza contro ogni cittadino fermato, arrestato o detenuto».

La Pira, Relatore, ritiene che in questa materia sia necessario specificare, data la dura esperienza fatta da gran parte dei componenti la Commissione durante il periodo fascista.

Il Presidente Tupini riassume la discussione, rilevando che di fronte alla formula dei correlatori, integrata dalla proposta De Vita, ve n'è un'altra da lui suggerita, contenuta nei seguenti termini:

«Il trattamento umano della persona fermata, arrestata o detenuta, è garantito».

Osserva che questa formula non solo risponde al carattere generale della Costituzione, ma tiene conto anche delle preoccupazioni manifestate dall'onorevole Mastrojanni. Questa sua proposta — sulla quale insiste — potrebbe avere in votazione la precedenza, se non vi fosse una proposta più radicale dell'onorevole Mancini, il quale sostiene che non si debba dar luogo a nessuna affermazione del genere in questa sede, ma che la materia in discussione debba formare oggetto di particolari disposizioni di legge, che il legislatore predisporrà in relazione ai principî generali fissati dalla Costituzione. Mette perciò innanzi tutto, ai voti la proposta dell'onorevole Mancini.

(Non è approvata).

Mette poscia ai voti la sua proposta.

(Non è approvata).

Avverte che segue la formula proposta dall'onorevole Togliatti, la quale dice: «È proibita e viene punita dalla legge ogni forma di violenza contro il cittadino fermato o arrestato». A questa formula l'onorevole Moro vorrebbe apportare un emendamento aggiuntivo, che ha così precisato: «È vietata ogni violenza fisica e morale nei riguardi del cittadino fermato o arrestato o comunque detenuto».

Togliatti dichiara d'accettare l'emendamento dell'onorevole Moro, osservando soltanto che l'espressione: «violenza morale» è un po' ampia. Anche la privazione della libertà è una forma di violenza morale.

Moro chiarisce che, in termini giuridici, morale è ogni coercizione esercitata mediante suggestioni, minacce, ecc.

Cevolotto domanda agli onorevoli Togliatti e Moro se accettano di sostituire alla loro dizione quella proposta dall'onorevole Basso: «L'individuo privato della libertà personale» che è più comprensiva.

Mastrojanni fa presente che la sua proposta prevede ogni ipotesi. Tale proposta è così formulata: «Qualunque forma di violenza fisica o morale durante l'arresto e per tutto il tempo della privazione della libertà personale costituisce reato». Senza distinguere l'arresto, la detenzione o la carcerazione, si esprime un concetto anche più lato che si estende a quel settore dove è più temibile e possibile la violenza fisica o morale, cioè quando l'individuo è stato fermato per ragioni di pubblica sicurezza.

Basso, Relatore, insiste sulla formula da lui proposta, nella quale si accenna anche al trattamento inumano, perché per fiaccare la resistenza morale e fisica di un individuo si può ricorrere a forme inumane di trattamento perfino nel vitto. Nella sua proposta erano perciò prospettate tre ipotesi: il trattamento inumano, la violenza morale e quella materiale.

Mastrojanni dichiara di accettare la formula Basso.

Il Presidente Tupini osserva che sarebbe più logico stabilire anzitutto il principio che: «a tutti è garantito un trattamento umano» e poi specificare.

Basso, Relatore, ritiene che dire: «è vietata ogni forma di trattamento inumano e ogni forma di costrizione» possa andare egualmente bene.

Moro propone di fondere le due formule, usando però una forma positiva, cioè: «è garantito a tutti un trattamento umano».

Mancini rileva che tornerebbe a ripresentarsi la formula proposta dal Presidente che è stata già respinta.

Il Presidente Tupini osserva che la dizione «trattamento umano» riguarda tutte le possibili ipotesi e sottolinea ancor meglio quanto è stato detto in precedenza e con maggiore specificazione. È pertanto favorevole alla formula «È garantito a tutti un trattamento umano». È una norma di carattere generale.

Lombardi Giovanni userebbe la parola «vessazione».

De Vita osserva che nel testo proposto dall'onorevole Togliatti non è previsto il momento antecedente all'arresto.

Togliatti risponde che è molto difficile prevedere questo momento. Quando, ad esempio, si arresta una persona per strada è giocoforza usare una certa coercizione materiale.

De Vita dichiara di accettare la formula proposta dai relatori.

Il Presidente Tupini osserva che essa è stata già abbandonata. Si sarebbe invece trovato l'accordo, almeno nelle proposte, tra le varie formule che sono state presentate dagli onorevoli Togliatti, Moro e Basso, a cui hanno aderito gli onorevoli Mastrojanni, Cevolotto ed egli stesso. La formulazione definitiva proposta per questo capoverso risulterebbe la seguente: «È vietata ogni violenza fisica o morale nei riguardi del cittadino fermato, arrestato o comunque detenuto». Ritiene però che sarebbe meglio dire «persona», perché talvolta può avvenire che anche una persona che non è cittadino si trovi in condizioni di essere arrestato, fermato o detenuto. Toglierebbe inoltre l'avverbio «comunque» che puntualizza in senso estensivo il concetto della prima parte dell'articolo.

Potrebbe infine aggiungersi un ultimo periodo: «Durante lo stato di privazione della libertà personale è garantito a tutti un trattamento umano».

Caristia osserva che sarebbe meglio dire: «violenza fisica o morale contro la persona».

Il Presidente Tupini fa presente che il termine più esatto è: «in danno». In definitiva la formula dei due ultimi capoversi potrebbe essere la seguente:

«È vietata ogni violenza fisica o morale in danno della persona fermata, arrestata o comunque detenuta.

Durante lo stato di privazione della libertà personale, è garantito a tutti un trattamento umano».

Pone ai voti il testo così formulato.

Mancini dichiara che voterà contro, non perché sia contrario al concetto racchiuso nella formula, ma perché è convinto che tutto ciò è materia di codice di procedura penale.

Lombardi Giovanni dichiara di insistere nella sua precedente proposta e di votare contro la formula proposta.

Il Presidente Tupini spiega all'onorevole Lombardi la ragione per la quale ha messo ai voti prima delle altre la sua proposta. Infatti è partito dal concetto, che domina sempre come criterio assoluto nelle votazioni, che abbiano la precedenza quelle formule che, nei confronti di quelle dei relatori, sono le più radicali in quanto a modifiche. Ha ritenuto che il solo fatto di accennare a delle sanzioni avesse un carattere specifico, e che più si accostasse alla proposta dei relatori. Comunque ritiene giusto che si faccia menzione nel verbale della formula proposta dall'onorevole Lombardi che è la seguente: «Contro chiunque, imputato o detenuto, ogni forma di violenza o vessazione è vietata, con sanzioni che saranno indicate dalla legge penale».

Lucifero ritiene che l'ultima proposizione, cioè quella relativa al trattamento umano, sarebbe meglio espressa in forma negativa, dicendo: «Durante lo stato di privazione della libertà personale è vietato un trattamento inumano verso tutti».

Moro dichiara di essere contrario alla proposta dell'onorevole Lucifero, poiché la formula che raccoglie il consenso della maggioranza della Sottocommissione si ricollega meglio a quel trattamento sociale che si è voluto garantire.

(I due ultimi capoversi sono approvati nel testo proposto dal Presidente).

Il Presidente Tupini mette ai voti l'intero articolo terzo che pertanto con i vari emendamenti approvati risulta così concepito:

«La libertà personale è inviolabile. Nessuno può esserne privato, se non per atto dell'autorità giudiziaria e solo nei casi e nei modi previsti dalla legge.

Il fermo o l'arresto di polizia non è ammesso che per fondato sospetto di reato e non può durare in nessun caso più di quarantotto ore. Decorso tale termine la persona fermata od arrestata deve essere rimessa in libertà, a meno che nel frattempo non sia intervenuta denuncia all'autorità giudiziaria e questa, entro le ulteriori quarantotto ore, abbia emesso ordine o mandato di cattura.

È vietata ogni violenza fisica o morale in danno della persona fermata, arrestata o comunque detenuta.

Durante lo stato di privazione della libertà personale, è garantito a tutti un trattamento umano».

(È approvato).

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti