[Il 17 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Assennato. Onorevoli colleghi, desidero intrattenere brevemente l'Assemblea sugli articoli 3 e 4 del progetto di Costituzione. In realtà l'articolo 3 non si presta agevolmente a una discussione, in quanto che esso è stato approvato quasi all'unanimità dalla Commissione. Parmi però necessario sottolineare anche il fatto che l'articolo 3 sia stato approvato col pieno accordo di tutti, sia perché l'accordo va sempre in qualche modo celebrato, perché può determinare conseguenze utili anche per altre disposizioni, sia perché dopo 25 anni di dispregio di tutte le forme di solidarietà internazionale, di retorica, di supremazia di forze, di indifferenza verso forme di solidarietà, parmi che la dichiarazione formulata dall'articolo 3, contenente l'impegno di immettere nel proprio ordinamento giuridico interno le norme generalmente accettate dall'ordine giuridico internazionale, richieda una certa attenzione da parte dell'Assemblea per le conseguenze, anche di carattere pratico, che ne possono derivare, ma soprattutto per l'orientamento che deve generare nella educazione dei giovani.
Vi è qualche cosa di nuovo nell'articolo 3. Il diritto internazionale era concepito e lo è tutt'ora — non direi che si sia molto allontanato dalle forme originarie — come un complesso di norme giuridiche che determinano gli obblighi e i diritti delle classi dominanti, delle unità che compongono la comunità internazionale.
La rinunzia alla guerra, consacrata nell'articolo 4, non va intesa in senso pacifista assoluto, cioè nel senso di rinunzia al diritto ed al dovere di difesa del territorio, dell'indipendenza, della libertà, della Costituzione, ma come ripudio delle guerre di aggressione, di predominio, di compressione della libertà altrui.
Vi è nell'affermazione contenuta nell'articolo 4 qualcosa di nuovo, che, pur ripetendo formulazioni analoghe del Patto di Kellogg, della Costituzione di Weimar o di altre recenti, ha particolare significato per la nostra Costituzione, essendo stati, purtroppo, noi a fare uso ed abuso dell'elemento guerra nella vita tra i popoli. Il che mi porta a rievocare — e di questo dovrebbero prendere atto particolarmente alcuni, che vorrebbero riallacciarsi al passato — l'operato di Giolitti; il quale, ammaestrato dalla facilità con cui il sovrano era propenso ad apporre firme ad atti di dichiarazione di guerra, propose di riformare lo Statuto nel senso di togliere al sovrano la facoltà della dichiarazione di guerra; il che significa che egli, per la conoscenza dell'individuo, delle costumanze sue e della sua dinastia, aveva ben compreso quanto fosse pericoloso l'avere affidato le sorti del Paese a chi non si preoccupava di osservare le norme costituzionali, ma soltanto di trarre profitto dalla dichiarazione di guerra.
Questo non significa, però, che con grande entusiasmo si possa confidare nelle forze innovatrici di questo diritto internazionale, di cui nelle norme generali si fa cenno. Anzi, si potrebbe rievocare la favola di Fedro: Ovis et leo. Nella realtà il leo si fece capo di questa società e perdurano certamente gli elementi della favola di Fedro.
Vi sono, però, nuove correnti, che danno bene a sperare; e questa speranza è realizzata dal comune assenso d'ogni corrente nel dare il proprio voto ad un articolo così formulato.
Queste nuove correnti sono rappresentate dal fatto che nella comunità internazionale non sono presenti soltanto gli elementi che ho citati, ma ve ne sono altri: vi è una serie di Paesi socialisti, i quali portano all'ordinamento internazionale il tributo del loro ordinamento interno, poiché ogni ordinamento riflette la struttura della società di cui è espressione.
Questi Paesi socialisti portano nella comunità internazionale la voce delle classi lavoratrici; portano un tributo di nuova democrazia, di nuovi orientamenti, tanto è vero che deve essere stato accolto con plauso il tentativo, anche se non riuscito interamente, della Federazione mondiale dei sindacati di far parte dell'O.N.U., tentativo che se non è riuscito appieno, non è detto che per questo non abbia una certa influenza e non determini delle simpatie, non determini cioè un apporto maggiore di democrazia, con una più larga base che viene poi espressa nel nuovo ordinamento giuridico internazionale.
Vi è, naturalmente, negli articoli 3 e 4 del progetto un orientamento, una tendenza e un programma, tanto che forse ad alcuni sarebbe parso opportuno comprendere quella formulazione nel preambolo, come orientamento generico richiamato anche da altre Costituzioni, e con la significazione particolare per noi, dopo 20 anni di fascismo, di dare la certezza che la guerra non avrebbe fatto parte del nostro bagaglio politico, e che avremmo cercato di immettere nel nostro ordinamento quanto potevamo di meglio delle norme internazionali generalmente accettate.
Si è ritenuto meglio di procedere, non ad una formulazione generica, ma precisa, impegnativa che serva come programma, come tendenza, come orientamento. Certo queste norme non sono ancora ben consolidate nella coscienza dei popoli, e potranno trovare maggiore possibilità di successo quando i nuovi elementi che saranno immessi nella vita internazionale potranno dare un maggiore apporto.
In un volume, che è un monumento elevato a se stesso, uno storico inglese, dopo aver parlato delle miserie e delle grandezze del nostro Risorgimento, conclude quella storia italiana, un po' lontana ormai, affermando che all'Italia non è concesso di svolgere una politica internazionale di forza e una politica internazionale propria; ma ammonendo che essa però, se orientata verso una sana democrazia, può costituire in Europa l'elemento più decisivo ed importante per la vita pacifica del consorzio europeo.
Egli osservava, tuttavia, che questo compito richiedeva uomini più capaci, uomini del genio di Cavour.
A noi non interessa di indagare chi potrà essere quest'uomo, ma interessa di conoscere la corrente donde potrà venire questo nuovo contributo che l'Italia potrà dare certamente alla compagine internazionale.
Ebbene, esso non potrà provenire che dalle file del lavoro, della classe lavoratrice. È di lì, dalla più sana democrazia, che potrà venire un impulso maggiore per le opere di bene e di solidarietà. È dalle classi lavoratrici, nella loro marcia verso l'unica famiglia socialista, che potranno sorgere le fondamenta di una vita di pace e di tranquillità.
È per questo che il partito socialista dà la sua adesione incondizionata agli articoli 3 e 4, così come sono proposti nel progetto. (Applausi a sinistra).
A cura di Fabrizio Calzaretti