[Il 20 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Amendola. [...] Tuttavia, pur partendo da queste premesse, essi esitano ad arrivare alle stesse conclusioni. E in sede di Commissione si sono pronunziati contro l'emendamento da noi proposto. Non mi sembra fondato il timore che è stato espresso, che la specificazione «di lavoratori» possa conferire un carattere classista alla Costituzione.
Infatti, l'articolo 29[i] del progetto definisce l'obbligo del lavoro in modo da abbracciare tutti coloro che compiono un lavoro socialmente necessario, manuale o intellettuale che sia. L'obbligo del lavoro è dunque «l'obbligo di svolgere un'attività o una funzione idonee allo sviluppo materiale e spirituale della società, conformemente alle proprie possibilità ed alla propria scelta».
Né da questa affermazione deriva l'obbligo, per lo Stato democratico, di separare, di distinguere completamente i lavoratori dai non lavoratori. Questo obbligo ci sarebbe stato, se fosse stata accolta una proposta avanzata in sede di Commissione dai democristiani, per cui i non lavoratori avrebbero dovuto venire esclusi dal diritto di voto. Io non mi nascondo le difficoltà pratiche che, nelle attuali condizioni economiche e sociali dell'Italia, deriverebbero da una norma simile, anche dando alla parola «lavoratori» il significato più generale che noi le abbiamo conferito. Ma i colleghi democristiani non hanno insistito su questa loro proposta.
La scelta quindi non la fa lo Stato, ma il singolo cittadino il quale, nella sua coscienza, sente se è un lavoratore o se un parassita, se è uno che dà il suo contributo allo sviluppo sociale del suo Paese, o se vive invece da parassita sui frutti del lavoro compiuto da altri. In realtà, dalla dichiarazione possono sentirsi colpiti solo coloro che sono, direi, consapevoli di questo loro stato di parassiti, coloro che passano sapendo di non lasciare tracce della loro oziosa esistenza, quelli che per ciò stesso si escludono dalla vita della Nazione. Perché, che cosa è la vita della Nazione se non la storia di coloro che lavorano e fanno col loro lavoro, col loro ingegno, che l'Italia sia il Paese che è, col suo volto cesellato da innumeri generazioni, il Paese che noi abitiamo, con le terre lavorate e le città e i monumenti e le fabbriche, tutto frutto del lavoro e dell'ingegno italiano?
A cura di Fabrizio Calzaretti