[Il 13 marzo 1947 l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.

Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]

De Vita. [...] In quest'aula sono state udite voci possenti. Sono stati solennemente affermati i diritti dell'individuo, è stata solennemente affermate la dignità della persona umana; ma io trovo, onorevoli colleghi, una profonda contraddizione tra queste affermazioni ed il concetto dello Stato, che ha particolarmente inspirato la formulazione di alcuni articoli delle disposizioni generali.

Poco importa riaffermare solennemente la libertà individuale, se poi si pone lo Stato al disopra dell'individuo, al disopra della società. Poco conta, onorevoli colleghi, riaffermare il valore originario della persona umana, negare la riduzione hegeliana dell'individuo ad un momento accidentale della sostanza statale, se poi, forse inavvertitamente, forse consapevolmente, attraverso gli organismi sociali, in cui la persona umana dovrebbe integrarsi e progressivamente espandersi, si arriva, fatalmente, al concetto dello Stato, il quale vive per i propri fini. Questa concezione organica della società o dello Stato, la quale ha avuto tanta parte nella formulazione dell'articolo 6, può naturalmente orientare la nostra società e determinare il destino della nostra società, può consentire di richiamare in vita, sotto novelle spoglie, l'idea dello Stato antico, fornendo nuovi argomenti alla politica autoritaria; e sotto le apparenze di conciliare le esigenze della vita dello Stato con la libertà moderna, si è infatti arrivati a sacrificare quest'ultima alle esagerate esigenze della vita sociale. E così lo Stato, penetrando il tutto — la comunità, la famiglia, l'individuo — diventerebbe veramente quel Dio terreno e reale, di cui parlava l'onorevole La Pira. Questa divinizzazione dello Stato, o signori, è per me il risultato naturale e spontaneo del concetto dello Stato, sintesi intrinseca dell'organismo sociale. È questa una tendenza a rappresentare lo Stato come una personalità separata, distinta dagli individui; a concepirlo come un organismo etico.

Ora, è certo che personificare lo Stato ed opporlo all'individuo, è, per me, un fare della metafisica. Questo è per me una specie di panteismo politico contrapposto a un panteismo metafisico. In verità, noi non siamo debitori dei nostri diritti allo Stato; non è vero che il cittadino, formando lo Stato, rinunzi a parte dei suoi diritti per avere meglio assicurato l'esercizio di altri diritti. La formazione della Repubblica non deve diminuire ma accrescere la libertà, deve svilupparne la coscienza, deve assicurarne l'esistenza.

L'alienazione dell'uomo allo Stato è per me un artificio logico assai pericoloso. Nessun diritto i cittadini debbono abbandonare, ma, nell'ordinamento sociale e politico della Repubblica, debbono trovare l'ambiente adatto all'esercizio di tutti i diritti.

Che la concezione dello Stato come organismo etico abbia ispirato la formulazione dell'articolo 6, risulta evidente dal contesto dell'articolo stesso. E risulta anche evidente dalle parole del relatore. Prima di parlare dei diritti di libertà, è detto nella relazione, è necessario un articolo nel quale si indichi l'orientamento della libertà. E allora si è voluto, prima di parlare dei diritti di libertà dell'individuo, determinare l'orientamento della libertà; si è voluto, nientemeno, finalizzare la libertà stessa.

[...]

Moro. [...] questa ideologia, questa sana accettabile ideologia che io ho racchiuso nelle due espressioni — libertà e giustizia sociale — si ritrova in questi tre articoli della Costituzione che noi esaminiamo e viene espressa come una indicazione dei fini del nostro Stato, del volto storico che assume la Repubblica italiana. Indubbiamente una indicazione di questo genere è indispensabile. Non avremmo ancora detto nulla, se ci limitassimo ad affermare che l'Italia è una Repubblica, o una Repubblica democratica. Occorre che ci sia una precisazione intorno ad alcuni orientamenti fondamentali che storicamente caratterizzano la Repubblica italiana.

Io, per questo, avevo proposto al nostro amabile Presidente della Commissione, onorevole Ruini, che i tre articoli, il primo, il sesto ed il settimo, fossero congiunti insieme, in quanto mi pareva che essi concorressero, da punti di vista diversi, a caratterizzare il volto storico dello Stato italiano. Sono prevalse altre ragioni, che sono ottime e dinanzi alle quali mi inchino, ma non volevo dimenticare questa mia modestissima proposta, la quale riconferma la mia vecchia idea che si tratti di articoli unitariamente confluenti per definire il carattere storico della Repubblica italiana.

Questi tre pilastri, sui quali mi pare che posi il nuovo Stato italiano sono: la democrazia, in senso politico, in senso sociale ed in senso che potremmo chiamare largamente umano.

[...]

E ora permettetemi che io dica qualche cosa sull'articolo 6.

L'articolo 6 era inizialmente l'articolo 1° del progetto della prima Sottocommissione. Vi abbiamo lavorato per molti giorni. Ripeto, non abbiamo incontrato difficoltà di sostanza, abbiamo incontrato delle difficoltà di forma, di comprensione del nostro punto di vista. In fondo in questa rivendicazione della dignità, della libertà dell'uomo, dell'autonomia della persona umana non vi poteva non essere concordanza. L'onorevole Basso che lavorava con noi, dopo qualche esitazione di carattere formale, ha finito per convenire circa l'opportunità di formulare in un articolo i principî inviolabili e sacri di autonomia e di dignità della persona.

È un articolo che ha un duplice riferimento.

A prescindere dall'ultima parte nella quale si parla dei doveri di solidarietà economica, politica e sociale, doveri che sono strettamente connessi con i punti ai quali ora ho accennato, l'articolo 6 ha due riferimenti: alla dignità, autonomia e libertà della persona umana, e ai diritti delle formazioni sociali ove si svolge la personalità umana.

L'opportunità, la necessità di questi riferimenti mi pare scaturiscano da queste considerazioni fondamentali. Abbiamo detto che occorre definire il volto del nuovo Stato in senso politico, in senso sociale, in senso largamente umano. L'articolo 6 riguarda quest'ultimo punto. Uno Stato non è veramente democratico se non è al servizio dell'uomo, se non ha come fine supremo la dignità, la libertà, l'autonomia della persona umana, se non è rispettoso di quelle formazioni sociali nelle quali la persona umana liberamente si svolge e nelle quali essa integra la propria personalità.

Qui non è un problema teoretico che noi solleviamo. Io potrei richiamarmi — non lo faccio perché non credo sia il caso di perder tempo — potrei richiamarmi senz'altro a tutto quello che ha detto qualche giorno fa l'onorevole La Pira nel suo elevatissimo discorso, nel quale ha svolto la concezione del pluralismo sociale e giuridico.

Egli ha chiarito questa caratteristica considerazione della società, la quale non è unica, non è monopolizzata nello Stato, ma si svolge liberamente e variamente nelle forme più imprevedute, soprattutto in quelle fondamentali, che corrispondono più pienamente alle esigenze immancabili della personalità umana.

Vorrei proporre qui non il problema scientifico del pluralismo giuridico, ma il problema del pluralismo pratico e politico, ricordando ancora una volta, perché siamo ancora sotto l'azione degli insegnamenti che ci vengono dalla tirannide donde siamo usciti, ricordando ancora le lunghe, dure compressioni non soltanto della dignità della persona direttamente considerata, ma della dignità della persona considerata nelle formazioni sociali nelle quali essa si esprime e si compie. Io credo che sia più duramente offensiva una menomazione di libertà umana, fatta attraverso i vincoli sociali che sono particolarmente cari, quella che investe un campo più vasto e impegnativo, nel quale si moltiplicano gli interessi e le possibilità individuali. Quando discutevamo di questa materia con l'amico onorevole Basso, qualche volta, da parte sua e da parte dell'amico onorevole Marchesi, ci è venuta questa obbiezione: voi parlate di comunità naturale; ma non vi è nulla di naturale in questo senso. Si tratta sempre di formazioni storiche, si tratta sempre di formazioni sociali. Si diceva: la personalità umana come potete concepirla fuori della società che la determina, fuori della società che contribuisce alla sua configurazione? La stessa famiglia è un prodotto storico ed essa ha una funzione sociale nel senso più largo.

Ma, alla fine, noi siamo riusciti a farci capire. Si parli pure di storicità, in questo senso, come noi parliamo dal nostro punto di vista di naturalità. Non poniamo una cosa contro l'altra, ché non si tratta di cose diverse.

Sta di fatto che la persona umana, la famiglia, le altre libere formazioni sociali, quando si siano svolte sia pure con il concorso della società, hanno una loro consistenza e non c'è politica di Stato veramente libero e democratico che possa prescindere da questo problema fondamentale e delicatissimo di stabilire, fra le personalità e le formazioni sociali, da un lato, lo Stato dall'altro dei confini, delle zone di rispetto, dei raccordi.

Ed io insisto, onorevoli colleghi, su questo punto: quello dei raccordi da stabilire, perché, quando noi parliamo di autonomia della persona umana, evidentemente non pensiamo alla persona isolata nel suo egoismo e chiusa nel suo mondo. Non intendiamo — ritorneremo su questo fra qualche giorno, studiando gli argomenti della famiglia e della scuola — non intendiamo di attribuire ad esse un'autonomia che rappresenti uno splendido isolamento. Vogliamo dei collegamenti, vogliamo che queste realtà convergano, pur nel reciproco rispetto, nella necessaria solidarietà sociale. (Applausi al centro).

[...]

Vinciguerra. [...] Ma la questione grossa è un'altra. Tutti hanno girato attorno all'articolo 6, che è servito anche di motivo poetico. Si è detto che i principî di autonomia e dignità della persona sono anteriori alla nascita dello Stato, quali diritti naturali, in contrasto con chi ne ha fatto dei riflessi soltanto dello Stato e non altro.

Penso che questa non sia materia di discussione che si tratti di un patrimonio oramai acquisito — sia pure contestato — perché è venuto a noi attraverso molte lotte, non ultima quella contro la dittatura: ma la novità è nella parola; «garantisce».

Noi vogliamo sapere come la Repubblica «garantisce». Una volta tanto c'è uno Stato in formazione che avanza, ci dà la mano e ci dice: io ti garantisco i diritti più sacri. Ma quali diritti? Mi sembra che qui occorra discriminare: sono i cosiddetti diritti di libertà, i diritti naturali, i diritti — come li chiama l'ultima Costituzione francese — sacri e inviolabili della libertà di coscienza, di associazione, di riunione, di stampa, ecc.; sono diritti i quali, quando si verifica un colpo di forza o si instaura un regime di violenza, sono esposti alle aggressioni? Gli altri diritti non si toccano, perché nessun ordine nuovo vuol portare alla distruzione fisica i suoi subietti. Così l'ordine delle famiglie viene regolato più e meglio che si possa; così i rapporti economici, nessuno li tocca. I diritti al miglioramento economico conquistati attraverso tutta la grandiosa lotta che sta conducendo il proletariato nel mondo, sono diritti che non si toccano, che non si possono toccare. Abbiamo visto che è un po' la smania dei dittatori di dichiararsi autori di un certo benessere. È il «festa, farina e forca» dei Borboni.

Io sono stato un avversario di quello che fu il passato regime, e credo che non si possa mettere in dubbio la sincerità di quanto dico. Esso ci ha dato quelle privazioni che ci poteva dare; ma debbo riconoscere che un merito sotto quella dittatura ci fu: che una infinità di persone mangiò e mangiò romanamente — i romani sapevano mangiare anche due o tre volte nel corso del banchetto. Le stesse masse furono (e questo torna a titolo di onore per esse, perché non subirono la suggestione) agevolate; ma, per quanto riflette i diritti di libertà di pensiero, di riunione, di associazione, il regime fu inflessibile verso di loro. Li soppresse tutti.

Di modo che quando questa Repubblica ci viene a dire: «vi garantisco questi diritti», evidentemente intende e deve garantirci i diritti di libertà, diritti sacri, diritti naturali.

Ma qui è il punto: ce li garantisce? Ho premesso che bisogna parlare senza preoccupazioni di parte. Ora è giustificato il dubbio che questa Costituzione — per fortuna è ancora in progetto — ci dia questa garanzia, una garanzia che ci viene promessa, come un impegno di onore, in una specie di proemio.

E qui a me pare che bisogna parlar chiaro, rifacendomi un po' a quello che diceva il Presidente dei Settantacinque, anzi dei Settantaquattro, giacché è da escludersi il Presidente. (Si ride).

L'onorevole Ruini, a proposito dei rapporti economici ha detto che essi segnano una grande conquista della nostra Carta e avviano allo Stato economico. Accetto anch'io questo programma (giacché non trattasi di disposizioni legislative) inserito nella Costituzione e si dovrà solo vedere come la Camera Legislativa lo saprà tradurre in una serie di riforme agrarie, industriali, ecc.

Bisogna frattanto stare accorti a non creare illusioni e specie in ordine a questo futuro Stato economico preannunciato dall'onorevole Ruini.

Ora, io, come socialista, per quello che intendo come dottrina socialista, per quello che ho studiato sui testi, per la mia esperienza, devo dire che non potrei supporre che da queste premesse di rapporti economici debba venir fuori quest'impegno di uno Stato economico.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Non ho mai detto Stato economico. Ho detto che è in corso un'economia del lavoro, il che è ben diverso. E per questo la Repubblica assume impegno.

Vinciguerra. Ho ricercato il resoconto stenografico delle sue dichiarazioni e desumo il suo pensiero da un'intervista che ella ha concesso al Momento-Sera.

Comunque, se sia stato detto o non sia stato detto, questo non vuol dire niente, questo non muta la cosa, perché se non è stato detto, potrebbe essere la pretesa di qualcuno.

E su questo terreno si dovrebbero mettere le carte in tavola. Ora noi diciamo: rapporti economici, da tutelarsi costituzionalmente, va bene; ma che poi debba sorgere lo Stato regolamentatore una forma di corporativismo, questo poi no.

Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. E chi ha detto?

Vinciguerra. È inutile che ella faccia dei dinieghi. Posso anche chiederle scusa di averla chiamata in causa, potendo essere lo Stato economico anche qualche cosa che lei scatena contro la sua volontà e che io temo per le libertà naturali che la Costituzione deve garantire.

Che volete farci? Sono un ingenuo. Chiamatemi, come volete, un primitivo. Voi sapete che sono i primitivi che dettero inizio al Contratto sociale, ed hanno acquistato poi dei diritti, sia pure ridotti. Ora, signori, il mio diritto è di chiarire: che vi siano questi rapporti economici, va bene, ma che vi possa essere la pretesa, dello Stato economico che irreggimenta ed incasella, penso che non possa essere consentito.

Io credo che abbia il diritto di esprimere la mia opinione, che non si arrivi a queste costruzioni di inquadramento, di incasellatura, le quali rappresentano una invasione nel campo dei diritti di libertà, una menomazione di questi diritti, presidio della civiltà e senza dei quali voi potreste anche avere uno Stato perfetto, come quelli costruiti da Platone a Campanella, ma senza anima. Si tratta delle nostre libertà, di un sacrario che va difeso anche contro gli equivoci, che possono aprire la porta ad ulteriori pretese.

Tutto ciò mi sembra che sia un po' sfuggito all'onorevole La Pira, il quale si è mantenuto troppo in metafisica. La metafisica è pericolosa e fu in nome dello Stato etico di Hegel, il grande teologo della filosofia, che il fascismo pretese imporci il suo dominio acquisito prima colla violenza.

Dallo Stato etico venne fuori la mistica fascistica e gli insegnanti di essa.

E ora la nostra giovane Repubblica si avanza, ci dà la mano e dice: vi garantisco questi diritti; ma noi diciamo: grazie, vi prendiamo in parola, ma la vostra garanzia non deve avere sottintesi.

 

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A cura di Fabrizio Calzaretti