[Il 14 marzo 1947, nella seduta pomeridiana, l'Assemblea Costituente prosegue la discussione generale delle «Disposizioni generali» del progetto di Costituzione della Repubblica italiana.
Vengono qui riportate solo le parti relative all'articolo in esame, mentre si rimanda alle appendici per il testo completo della discussione.]
Russo Perez. [...] Dall'articolo 1 si desume che l'Italia vuol essere una repubblica di lavoratori. Il progetto non dice così, ma è questa la dizione proposta dall'onorevole Togliatti, e l'attenuazione della formula è stata dallo stesso Togliatti subita, ma non abbandonata, come egli stesso ci ha detto.
Repubblica di lavoratori, come ce ne sono già tante nel mondo; e sappiamo da quale parte orientarci per scoprirne qualcuna.
Ricordo, per esempio, che un giorno il capo del Partito comunista, durante una riunione della Commissione dei trattati, disse che il regime jugoslavo è uno dei più civili e democratici del mondo.
Vi fu qualcuno che propose, invece del termine «lavoratori», il termine «cittadini»; e badate che, quando si passò alla votazione della proposta, essa ottenne la parità dei voti.
Adesso alcuni colleghi ripropongono «cittadini». Ebbene, colleghi, io respingo questo termine e accetto quello di «lavoratori», perché qui si vuole incidere nelle tavole del nuovo patto il segno di un orientamento nuovo: la rivendicazione dell'alta dignità del lavoro umano, rivendicazione che dev'essere il fondamento essenziale della Repubblica democratica italiana, conferendosi ai lavoratori il diritto di partecipazione effettiva, come dice il progetto, alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Sarebbe assurdo e antistorico, oltre che immorale, voler negare, e sarebbe puerile nascondere sotto un termine denicotinizzato questa ascesa delle masse lavoratrici, che vorrei dire magnifica, soprattutto se potessi comprendervi i ceti medi...
Una voce a sinistra. Sono lavoratori anche quelli.
Russo Perez. Senza dubbio, ma è difficile classificarli proletari.
Una voce a sinistra. Lo sono il più delle volte, anche se non si accorgono di esserlo.
Russo Perez. ...e se potessi escludere, dalla testa dei suoi battaglioni, alcuni pericolosi attivisti.
Vi sono molti oggi che ostentano uno sviscerato amore per la classe operaia, e mi sembrano simili a quel tale che, vedendo scendere la piena, si pose sull'argine in costume da bagno, dichiarando che i bagni di fiume fanno bene alla salute.
Ma non di noi può dirsi questo, che tutta la vita abbiamo riempito di questo anelito verso una migliore giustizia sociale e che alle masse lavoratrici abbiamo sempre detto e diciamo ancor oggi «avanti», per tante ragioni, ma soprattutto perché esse sono noi stessi.
Però la società non è composta soltanto di lavoratori. I pensionati, gli invalidi non sono lavoratori, eppure non si può negare ad essi la partecipazione alla vita del Paese.
Disse l'onorevole Ruini, nei lavori preparatori, che l'organizzazione politica, economica e sociale della Repubblica ha per fondamento essenziale l'apporto di tutti i lavoratori, il lavoro di tutti, non solo manuale, ma in ogni sua forma di espressione umana. L'onorevole Togliatti un giorno aggiunse che egli non aveva difficoltà, per sgombrare il terreno da ogni equivoco, che si dicesse «lavoratori del braccio e della mente». Io spero che vorrà confermarlo in questa più acustica sede e, soprattutto, nelle più stabili tavole di questo nuovo statuto che vogliamo dare al nostro Paese.
Per le considerazioni che ho fatte, ho proposto qualche emendamento agli articoli in esame. Innanzi tutto, l'Italia è una — aggiungerei «una» — Repubblica democratica. Come nella Costituzione francese: grammaticalmente e letterariamente suona meglio.
Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione. Sì; è un errore di stampa della vecchia edizione.
Russo Perez. Poi: La Repubblica italiana ha per fondamento — aggiungerei l'aggettivo «essenziale» — il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori — accetto la frase dell'onorevole Togliatti — del braccio e della mente... Il resto dell'articolo potrebbe rimanere immutato, salvo la formula che la sovranità non emana, ma risiede nel popolo ed è esercitata nelle forme di legge.
[...]
Bruni. [...] Come è stato da altri rilevato, rappresenta una caratteristica della nostra Carta il secondo comma dell'articolo 1, dove si proclama che «La Repubblica italiana ha per fondamento il lavoro e la partecipazione effettiva di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». La corrente dei cristiano-sociali, che io rappresento in questa Assemblea, sa apprezzare appieno questo comma, avendo sempre proclamato il principio della sovranità del lavoro nei rapporti sociali, e avendo esplicitamente espressa, sin dal loro programma del 1941, l'esigenza che l'esercizio dei diritti politici fosse legato al possesso di un «titolo di lavoro».
Sennonché essi hanno sempre tenuto a precisare come al «lavoro» non intendessero attribuire un valore esclusivamente economico e di semplice soddisfacimento di bisogni materiali, ma soprattutto il valore di mezzo della propria elevazione morale ed intellettuale e di strumento di concreto servigio verso i propri simili.
Solo se inteso in tal modo, quale concreto legame sociale, che in sé attua il primato dello spirituale ed è distintivo dell'amore fraterno e della solidarietà tra gli uomini, il lavoro può essere assurto all'onore di costituire il fondamento di una Repubblica. Non altrimenti. Il fondamento, il mezzo, e certamente non il fine, come ho detto, del viver civile.
Se è vero che all'uomo non è concesso — in via ordinaria — di poter dare una dimostrazione reale del suo attaccamento al mondo dei valori spirituali al di fuori del proprio lavoro, è anche vero che deve essere il mondo di quei valori a finalizzare l'opera umana.
[...]
Marchesi. [...] Ricordate, onorevoli colleghi, le magnanime parole che un francese, il marchese Melchior de Vogüé scriveva allora nel 1889, allorché un pellegrinaggio francese di quattromila operai venne al cospetto di Leone XIII. «Mi pareva, egli scriveva, che fossero entrati allora per la prima volta in San Pietro i rappresentanti del nuovo potere sociale, i nuovi pretendenti all'impero, i soggetti del potere, entrati, come una volta gli antichi imperatori Carlo Magno, Oddone e Barbarossa, per ricevere dal Pontefice la consacrazione e la investitura».
E la riceveranno, onorevoli colleghi democristiani, la riceveranno mercé l'opera dei vostri migliori, la consacrazione e la investitura, i lavoratori dell'Italia e del mondo. Soggetti del potere, i lavoratori. Appunto: e ha ragione l'onorevole Togliatti quando propone di scrivere nel primo articolo della Costituzione quelle due semplici e grandi parole, che non sono parole comuniste, che potrebbero e dovrebbero essere parole piene di profondo sentimento cattolico: Repubblica di lavoratori. Sì, Repubblica democratica di lavoratori; sarà questo il nuovo grande titolo di nobiltà che noi potremo dare al popolo italiano. (Vivi applausi a sinistra — Congratulazioni).
[...]
Rossi Paolo. [...] Per rispondere subito ad un'affermazione fresca dell'onorevole Marchesi, mi sembra quasi superfluo di dichiarare che il nostro gruppo accetterà la formula: «Repubblica democratica dei lavoratori». E come potrebbe essere diversamente, se siamo fieri di intitolarci appunto «Partito Socialista dei Lavoratori Italiani»? Questa formula, prima di essere un'affermazione politica, è il riconoscimento di una imponente, di una immanente, di una massiccia verità storica. L'Italia è un Paese di lavoratori, dove tutto si è fatto e si farà con il lavoro. Nulla con preziose materie prime vendute dall'estero, nulla con fortunate guerre di conquista, nulla attraverso mantenute posizioni egemoniche. Tutto per mezzo del lavoro, e soltanto col lavoro, dal pane che abbiamo sempre misuratamente mangiato, alla gloria senza confini della nostra civiltà artistica. Con la formula «Repubblica di lavoratori» si vogliono riaffermare, insieme, il carattere pacifico della Repubblica, l'illimitata fiducia nelle risorse del lavoro, l'obbligo di ogni cittadino di prestare l'opera sua per la causa comune.
Ma, sia ben chiaro, per rispondere alle preoccupazioni manifestate da alcuni oratori, dall'onorevole Crispo ieri, dall'onorevole Russo Perez poco fa, che i concetti «lavoro» e «lavoratori» sono intesi da noi nel senso più ampio, nel senso più umano. Non è la Repubblica degli operai e dei contadini quella che concepiamo, né quella degli operai e dei contadini più i tecnici e i professionisti; ma una Repubblica nella quale abbiano cittadinanza anche le attività non meramente economiche, una Repubblica, colleghi democratici cristiani e colleghi liberali, in cui ci sia posto per tutti i cittadini partecipanti utilmente alla vita nazionale.
A cura di Fabrizio Calzaretti